L’Odin Teatret da Holstebro al Menotti, per un “Amleto” che arriva al cuore degli spettatori

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Ciapa'l tram, Recensioni

Pubblicato Maggio 8, 2025

Una scena di "Le nuvole di Amleto", credit @StefanodiBuduo
Una scena di "Le nuvole di Amleto", credit @StefanodiBuduo

In Prima nazionale debutta a Milano il nuovo spettacolo della compagnia fondata da Eugenio Barba e che ha sede in Danimarca

“Non sono parole vuote queste di ringraziamento a Emilio Russo, direttore de Teatro Menotti: avete prodotto Le nuvole di Amleto“. Lo spettacolo è in scena a Milano fino all’11 maggio (dal 7) in Prima Nazionale, in coproduzione appunto di Tieffe Teatro (il Menotti) con Odin Teatret e Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale. Dopo il debutto milanese Le nuvole di Amleto sarà dal 14 al 18 maggio all’Arena del Sole di Bologna e alla Biennale di Venezia dal 2 al 4 giugno.

A parlare di riconoscenza verso l’Odin Teatret è Eugenio Barba, fondatore del gruppo teatrale con sede in Danimarca, fresco fresco nei suoi 90 anni quasi compiuti, ne dimostra 60. Del resto per “togliere al corpo l’ovvietà quotidiana”, trovare un “faticoso equilibrio di lusso”, come scrive Barba (Gallipoli, 1936), l’attore di teatro deve “rivolgersi alla memoria viva, che non è museo, ma metamorfosi”. Questo significa lavoro fisico e psicologico, in cui l’esperienza quotidiana forma alla vita attoriale. E lui, Eugenio Barba, per primo ha sempre inteso la sua esistenza in funzione della sua poetica: dalla Puglia si sposta presto, per intraprendere una vita di viaggi e esperienze di tutti i tipi: da mozzo addetto alle macchine su un cargo e una petroliera norvegesi con scali in Africa, Asia, America Latina, e America del Nord. All’Università di Oslo, in cui si laurea in Letteratura Francese, Norvegese e Storia delle Religioni. E poi viaggi in Norvegia, India, passando per sei mesi vissuti in un kibbutz in Israele. Gli studi in Polonia a Opole con Jerzy Grotowski, fino al 1964, quando fonda l’Odin Teatret a Oslo, in Norvegia, per spostarsi due anni dopo in Danimarca: qui tutt’ora ha sede e lavora l’Odin Teatret, che l’anno scorso ha compiuto 60 anni.

Peccato che Barba stesso si debba scontrare sempre più spesso con un mondo teatrale che ritiene iper attivo, ma senza produzioni di qualità: “Milano era una tappa importante di produzione culturale -sostiene apertamente-. Esistevano critici come Franco Quadri, o professori come Sisto Dalla Palma: oggi è sempre più difficile che il pubblico si lasci andare e creda che quello che Amleto vede in scena è davvero il fantasma di suo padre”. Tradotto: anche a causa della mancanza o quasi, oggi, di filtri importanti come i critici e i professori, il teatro ha perso la sua essenza rituale, spirituale, di senso, filosofica. Ecco perchè è così grato al lavoro del Teatro Menotti.

Eppure il pubblico, davanti a Le nuvole, cui Milanoateatro ha assistito alla Prima, si immerge nella sacralità e la ritualità di cui è imbevuto lo spettacolo come una pianta disidratata: è assetato di movimenti lenti, di una voce che è una componente distinta dello spettacolo, corporea, misurata e allenata da parte di tutti gli attori. È attirato dalla loro preparazione e capacità tecnica, o da come anche l’apporto tecnologico, sapientemente usato, possa aggiungere di senso pure in uno spettacolo quasi totalmente in mano agli attori. Che si muovono in tutta la scena riuscendo a far passare ogni dettaglio della loro sofferenza anche senza attribuire un senso specifico alle parole che usano. La drammaturgia, infatti, è costruita su diverse lingue, eppure comunica chiaramente la tragicità e ‘insensatezza di certi dolori umani. “Perché oggi Amleto? – si chiede Barba – Cosa dice oggi a noi la vicenda di un padre il cui fantasma appare al figlio e gli lascia il compito di uccidere lo zio per vendicarlo? Qual è l’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che trasmetteremo ai nostri figli? Cosa succederebbe se Amleto, come Antigone, affermasse: non sono nato per condividere l’odio, ma l’amore? ‘Il dubbio rende l’uomo debole’, dice il principe di Danimarca». Come a intendere: inutile farsi domande, la crudeltà della vita andrebbe accettata.

E questo è il senso a cui porta la visione dello spettacolo. Il teatro di Eugenio Barba è di disciplina, come ben si riconosce anche nelle Nuvole: una scena buia, in cui gli attori si muovono nel mezzo degli spettatori. La sala stessa del Menotti è infatti stata rivoluzionata nel suo assetto abituale, che in genere vede una distinzione tra platea e pubblico: ora lo spazio scenico si configura solo come un segmento neanche troppo ampio tra due scalinate su cui Barba stesso accoglie e fa accomodare gli spettatori. Nel mezzo, spente le luci e tolte due cime che dividevano gli spettatori dallo spazio scenico, ecco apparire una culla: è il figlio di Shakespeare, Hamnet (o Hamlet, “erano nomi interscambiabili in Inghilterra fine XVI e inizi XVII secolo”). Così il drammaturgo chiamò il suo bambino, che morì a 11 anni nel 1596. Nel 1601 Shakespeare perde suo padre: durante il periodo di lutto scrive La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca. Ha inizio uno spettacolo in cui la nota storia shakesperiana dell’Amleto è citata e ripercorsa in modo fluido ma non drammaturgico, sempre con l’apparizione a tratti in scena della culla: si tratta quasi più di una danza, in cui le parole sono recitate in danese, con qualche frase italiana, ma certo non è necessaria una traduzione.

Amleto, nuovo attore in compagnia come Ofelia, è un’anima intrappolata e persa nei suoi doveri. Vendicare il padre, sposare Ofelia in modo da tenere alto il valore della famiglia. Come forse fu Hamnet verso Shakespeare. Famiglia che però, si sgretola inequivocabilmente, e ben lo rappresentano Claudio, lo zio, e Gertrude, la madre di Amleto, che visibilmente celebrano il loro amore volendo escludere il giovane, che infatti impazzisce.

Se è vero che, come dice Barba, “non siamo noi a cercare le storie. Sono loro a bussare alla nostra porta”, questo è perché sono verità universali per l’uomo. E quindi la follia di Amleto, per l’Odin, appare chiara ad ogni spettatore, italiano, norvegese o di qualsiasi nazionalità sia, perchè è rappresentata all’essenza del suo essere. Attraverso il movimento degli attori anzitutto, e poi i costumi e le luci di scena. Tutto partecipa per portare gli spettatori nel rito e il momento che stanno celebrando per restituire il senso della follia del protagonista e la crudeltà degli altri personaggi, oltre alla solitudine di Ofelia, innocente nel suo amore bruciato dalla follia del suo amante. Per uno spettacolo che assorbe e lascia incantati per come gli attori trasformano ogni gesto in un’azione ricca di senso, di ritualità e di profondità. E la dedica dell’Odin di questo lavoro “A Hamnet e ai giovani senza futuro” porta dritti alla crudele attualità cui molti piccoli devono sottomettersi.

DURATA: 70 minuti

Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11

www.teatromenotti.org, tel. 02-82873611, biglietteria@teatroenotti.org

ORARI: martedì-sabato, ore 20. Domenica, ore 16.30. Lunedì, riposo.

BIGLIETTI: intero, 32 euro + 2 euro di prevendita Ridotto, 16 euro + 1.50 prevendita.

Consigli per prima o dopo lo spettacolo

  • Bar Teatro Menotti

    Dopo che Filippo Perego ha acquistato il Teatro Menotti scampandolo dal diventare il parcheggio  degli eleganti appartamenti che sono appena nati con la riqualificazione di tutto lo stabile in cui c’è anche questa Sala, al piano terra è stato ricavato un bar. L’estetica è semplice: solo tavolini e un bancone infondo. Se la gestione fosse ancora quella del genitore e figlio che fino a poco fa con gentilezza e eleganza portavano, per 7 euro, al tavolo un buon calice di Falanghina a giusta temperatura, accompagnato da patatine, pizzette e focaccine ottime e salumi (e senza la smania di avere subito il pagamento), l’aperitivo sarebbe stato ancora consigliato. Ora la gestione è passata a Gattò, il ristorante di cucina napoletana e francese (loro stessi si definiscono così) in via Castel Morrone. Il problema è che, non essendoci una sala in più e neanche un vero piano di lavoro, il ristorante arriva in teatro con piatti già preparati precedentemente e freddi. Ad esempio per uno spiedino di tre mozzarelline (micro) e un crodino, chiedono 13 euro. Andando in cassa autonomamente a ordinare, pagare e riportandosi da sè le scelte al tavolo. Un altro trattamento, di minore qualità e a prezzo quasi raddoppiato.

    Indirizzo: via Ciro Menotti 11

  • Altrè Milano

    Uno, due, tre… via! Questo viene da pensare dopo essere passati Al Tre Milano ed aver conosciuto Andrea e Barbara, che da Bergamo solo un mese fa hanno sostutuito l’inutile e poco attraente self service Spacca (che gestivano), con loro enoteca con cucina, aperta fin dal mattino e tutto il giorno anche come caffè.

    La voglia di lavorare non manca, tantomeno quella di portare la propria città, Bergamo, a Milano: una cantina ricca di etichette prevalentemente italiane e cercate una ad una preferendo piccoli produttori specializzati sui vari territori, la cucina (di cui si occupa Andrea) offre piatti tipicamente bergamaschi-bresciani, come i casoncelli, fino a ricette di pesce, come le linguine bio allo scoglio, e antipasti di salumi selezionati con gnocco fritto. Un luogo che ispira libertà e creatività, vedi anche i quadri alle pareti e l’ambiente caldo, accogliente, che in due sale dalla luce morbida, permette di rilassarsi e incontrarsi, con se stessi e con gli altri, lasciando cadere preconcetti e idee sclerotizzate. Un po’ come hanno fatto i due fondatori, che si sono coraggiosamente proposti Al Trè di via Gustavo Modena e già stanno incuriosendo Milano.

     

     

    Indirizzo: Via Gustavo Modena 3, 20129

    Telefono: 0236736833

  • Giolina

    In un ambiente chic senza essere radical, sportivo e elegante nello stesso tempo, una schiera di ragazzi e ragazze servono ai tavoli quelle che chiamare solo “pizza” forse è troppo poco. Da Giolina, in zona Porta Venezia, il segreto probabilmente è la lievitazione della pasta, 48 ore: potete stare certi che non vi rimarrà sullo stomaco. Aperta dal gruppo Arbellini-Brisbane-Saturnino, gli stessi di Panini Durini, Marghe, Pizzium, fino a Locanda Carmelina, Giolina oltre al tempo di riposo della pasta mette al centro di ogni ricetta la qualità degli ingredienti. Credete di poter parlare di acciughe? Certo che no, sono Alici di Cetara. O di mozzarella? Non sia mai, qui si usa il Fior di latte d’Agerola. Ingredienti raffinati, per nomi di pizze nuovi anche se spesso ricalcano quelle più tradizionali. Ad esempio la Margherita qui si chiama Ghitina (8 euro) ed è preparata con pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP, fior di latte d’Agerola, Parmigiano Reggiano DOP 30 mesi, olio extravergine di oliva biologico e basilico fresco. Da consigliare, per chi non ama la mozzarella sulla pizza c’è la Luisina, ovvero la Napoli rivisitata, 11.00 euro: Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop, pomodorini del piennolo del Vesuvio Rossi Dop, alici di Cetara, capperi disidratati, polvere di olive caiazzane, origano di montagna, basilico fritto, olio evo aromatizzato all’aglio. Di fatto come ricette da assaggiare non esistono grandi alternative alla pizza, e non ne sono previste senza glutine per i celiaci. Certo, potreste assaggiare un antipasto: bruschette, friarielli, mozzarella di bufala e taglieri, con prezzi che vanno dai 3.50 agli 11 euro, anche se glutine o lattosio sono, anche qui, praticamente inevitabili. Da bere esiste una buona selezione di etichette e l’ottima birra Ichnusa, filtrata o meno. Da Giolina è presente anche una zona pre-ristorante (anche se non è molto frequentata): una sorta di bancone dove si può prendere un aperitivo. L’accessibilità è trattata come un argomento noto: per facilitare le carrozzine esiste una pedana spostabile da appoggiare sul gradino all’ingresso, unico presente. Il bagno è a norma ed è provvisto anche di un fasciatoio. Lo spazio tra i tavoli in sala consente tranquillamente il movimento di una carrozzina e i cibi si possono adeguare a esigenze particolari di masticamento. Non c’è un parcheggio disabili di Giolina, ma posto in zona dovrebbe trovarsi nelle vicinanze (c’è un mix di parcheggio residenti e a pagamento. C’è anche un parcheggio coperto a pochi metri dal ristorante). Vi arrivano vari tram (9, 19, 23, non sempre, ma anche agibili), l’autobus 54 e 61 (agibili). La metro più vicina è la Rossa, fermate di Palestro o Porta Venezia.

    Indirizzo: via Bellotti 6

    Telefono: 0276006379

    Website: https://giolina.it/

  • Rosy e Gabriele

    Troverete la storica pizzeria degli attori e persone dello spettacolo. I due originari fondatori del ristorante (Rosy e Gabriele) ora sono in pensione, ma 11 anni fa, hanno lasciato il locale a chi già lavorava con loro da 37 anni. Qui la cucina è aperta fino a tardi (il ristorante chiude all’1), in un ambiente movimentato, allegro e in cui lavorano veri professionisti del servizio ai tavoli, da sempre in sala con camicia bianca e papillon nero. Gestiscono l’arrivo di clienti con o senza prenotazione con maestria e simpatia. Si possono mangiare classici piatti milanesi come risotto o cotoletta, ma la specialità è la pizza, presente in varie ricette. Sarete serviti in un’unica sala da pranzo conviviale dal sapore anni ’70-’80, come il paniere d’altri tempi che contiene amaretti, dolcetti alle mandorle e caramelline al limone o alla menta che viene servito a fine pasto se si sceglie di non prendere il dolce.

    Indirizzo: Via Giuseppe Sirtori, 26, 20129 Milano

    Telefono: 0229525930

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