Il romanzo di Michela Murgia “Accabadora” rivive in scena al Teatro Menotti

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Recensioni

Pubblicato Marzo 20, 2025

Anna Della Rosa in una scena di "Accabadora", credit @MarinaAlessi
Anna Della Rosa in una scena di "Accabadora", credit @MarinaAlessi

Spettacolo poetico e profondo nell'interpretazione di Anna Della Rosa per la regia di Veronica Cruciani e la riscrittura drammaturgica di Carlotta Corradi

Anna Della Rosa, milanese, classe ’78, una laurea in lettere e un diploma alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, è un’attrice studiosa, precisa, composta e profonda (Milanoateatro l’ha intervistata qui: Anna Della Rosa racconta la sua “Cleopatras”, moderna e epica insieme, e la sua Milano, “dalle bellezze nascoste, ma non troppo”. – Milano a Teatro ). Lo dimostra anche in Accabadora, lo spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Michela Murgia del 2009 e in scena al Teatro Menotti dal 18 al 23 marzo, Produzione Savà Produzioni Creative, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale.

La sala era piena ieri, 19 marzo, quando Milanoateatro ha visto lo spettacolo, si percepiva la partecipazione del pubblico verso quest’attrice sempre singolare nella sua personale interpretazione dei suoi personaggi. Se Carlotta Corradi ha reso il romanzo una drammaturgia e Veronica Cruciani firma la regia, in questo trio femminile alla Della Rosa spetta la parte finale, del contatto diretto col pubblico. Il suo essere altera, concentrata, quasi eterea nella recitazione, in questo spettacolo cade ad hoc: il romanzo della Murgia, anche premio Campiello nel 2010, tratta una storia al limite tra sacro e profano, tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Anna Della Rosa in una scena di Accabadora, credit @MarinaAlessi

Siamo nei primi anni cinquanta, a Soreni, un piccolo paesino della Sardegna: nasce la piccola Maria Listru, la Della Rosa, ultima e indesiderata di quattro sorelle orfane di padre. Per necessità viene affidata a Bonaria Urrai, signora benestante che non si è mai sposata. È la stessa Maria a raccontare la sua storia al Menotti, sola, su una scena vuota, astratta, in uno spazio e tempo definiti solo dalle parole. Diviene filla de anima – così vengono chiamati “i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra” – di Bonaria Urrai, benestante, che non si è mai sposata. Tzia, come Maria chiama la sua matrigna, è la sarta del paesino: Maria per tutto lo spettacolo si rivolge a lei, ma è un dialogo/preghiera.

Pian piano, in un testo poetico e musicale, emergono dettagli e il buio della scena si definisce nella fantasia di ogni spettatore: la Tzia Bonaria, infatti, è un’Accabadora. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere: Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. Sconcertata, decide di lasciare il paese per la grande e lontana Torino, perché lei non sarebbe mai “capace di uccidervi solo perché è quello che volete”. «Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo» l’ammonisce l’accabadora.

Dopo quasi due anni di lontananza dalla Sardegna, Maria riceve una lettera della sorella che le comunica le gravi condizioni di salute di Tzia Bonaria: decide di tornare al paese e di accudire la donna. Nonostante le diagnosi che la davano per morta da un momento all’altro, la vecchia Urrai continua a sopravvivere tra dolori lancinanti sempre più insopportabili. Fino ad una conclusione che rimette in discussione ogni convinzione, soprattutto di Maria. Per uno spettacolo che allontana dalla quotidianità più stretta e porta, con delicatezza ma con convinzione, a riflettere su temi che definiscono la nostra vita.

Durata: 75 minuti

INFO: Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11

Tel. 0282873611, www.teatromenotti.org, biglietteria@teatromenotti.org

ORARI: dal martedì al sabato ore 20, domenica ore 16.30. Lunedì riposo

Consigli per prima o dopo lo spettacolo

  • Bar Teatro Menotti

    Dopo che Filippo Perego ha acquistato il Teatro Menotti scampandolo dal diventare il parcheggio  degli eleganti appartamenti che sono appena nati con la riqualificazione di tutto lo stabile in cui c’è anche questa Sala, al piano terra è stato ricavato un bar. L’estetica è semplice: solo tavolini e un bancone infondo. Se la gestione fosse ancora quella del genitore e figlio che fino a poco fa con gentilezza e eleganza portavano, per 7 euro, al tavolo un buon calice di Falanghina a giusta temperatura, accompagnato da patatine, pizzette e focaccine ottime e salumi (e senza la smania di avere subito il pagamento), l’aperitivo sarebbe stato ancora consigliato. Ora la gestione è passata a Gattò, il ristorante di cucina napoletana e francese (loro stessi si definiscono così) in via Castel Morrone. Il problema è che, non essendoci una sala in più e neanche un vero piano di lavoro, il ristorante arriva in teatro con piatti già preparati precedentemente e freddi. Ad esempio per uno spiedino di tre mozzarelline (micro) e un crodino, chiedono 13 euro. Andando in cassa autonomamente a ordinare, pagare e riportandosi da sè le scelte al tavolo. Un altro trattamento, di minore qualità e a prezzo quasi raddoppiato.

    Indirizzo: via Ciro Menotti 11

  • BBQ

    Da sempre a conduzione famigliare (lui milanese lei di origini argentine), questo ristorante insieme rustico e raffinato punta tutto sulla carne: filetto, tagliata, fiorentina, chateaubriand, tartar per citare i piatti imperdibili, sia per il sapore che per l’ottima qualità. Tra ottimi vini, si trova anche la cerveza Quilmes o la Buenos Aires, mentre, tra le pregiate carni perlopiù italiane, non manca l’entrecote di manzo argentino “Rioplatense”. In menù da assaggiare anche il Salame di Varzi (12 euro), o le tagliate (22 euro, 48 quella “All’antica”, per due persone), come i filetti (27 euro).

    Indirizzo: via Pasquale Sottocorno 5, Milano

    Telefono: 0276003571

    Website: https://ristorantebbqmilano.it/il-menu/

  • Giolina

    In un ambiente chic senza essere radical, sportivo e elegante nello stesso tempo, una schiera di ragazzi e ragazze servono ai tavoli quelle che chiamare solo “pizza” forse è troppo poco. Da Giolina, in zona Porta Venezia, il segreto probabilmente è la lievitazione della pasta, 48 ore: potete stare certi che non vi rimarrà sullo stomaco. Aperta dal gruppo Arbellini-Brisbane-Saturnino, gli stessi di Panini Durini, Marghe, Pizzium, fino a Locanda Carmelina, Giolina oltre al tempo di riposo della pasta mette al centro di ogni ricetta la qualità degli ingredienti. Credete di poter parlare di acciughe? Certo che no, sono Alici di Cetara. O di mozzarella? Non sia mai, qui si usa il Fior di latte d’Agerola. Ingredienti raffinati, per nomi di pizze nuovi anche se spesso ricalcano quelle più tradizionali. Ad esempio la Margherita qui si chiama Ghitina (8 euro) ed è preparata con pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP, fior di latte d’Agerola, Parmigiano Reggiano DOP 30 mesi, olio extravergine di oliva biologico e basilico fresco. Da consigliare, per chi non ama la mozzarella sulla pizza c’è la Luisina, ovvero la Napoli rivisitata, 11.00 euro: Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop, pomodorini del piennolo del Vesuvio Rossi Dop, alici di Cetara, capperi disidratati, polvere di olive caiazzane, origano di montagna, basilico fritto, olio evo aromatizzato all’aglio. Di fatto come ricette da assaggiare non esistono grandi alternative alla pizza, e non ne sono previste senza glutine per i celiaci. Certo, potreste assaggiare un antipasto: bruschette, friarielli, mozzarella di bufala e taglieri, con prezzi che vanno dai 3.50 agli 11 euro, anche se glutine o lattosio sono, anche qui, praticamente inevitabili. Da bere esiste una buona selezione di etichette e l’ottima birra Ichnusa, filtrata o meno. Da Giolina è presente anche una zona pre-ristorante (anche se non è molto frequentata): una sorta di bancone dove si può prendere un aperitivo. L’accessibilità è trattata come un argomento noto: per facilitare le carrozzine esiste una pedana spostabile da appoggiare sul gradino all’ingresso, unico presente. Il bagno è a norma ed è provvisto anche di un fasciatoio. Lo spazio tra i tavoli in sala consente tranquillamente il movimento di una carrozzina e i cibi si possono adeguare a esigenze particolari di masticamento. Non c’è un parcheggio disabili di Giolina, ma posto in zona dovrebbe trovarsi nelle vicinanze (c’è un mix di parcheggio residenti e a pagamento. C’è anche un parcheggio coperto a pochi metri dal ristorante). Vi arrivano vari tram (9, 19, 23, non sempre, ma anche agibili), l’autobus 54 e 61 (agibili). La metro più vicina è la Rossa, fermate di Palestro o Porta Venezia.

    Indirizzo: via Bellotti 6

    Telefono: 0276006379

    Website: https://giolina.it/

  • Altrè Milano

    Uno, due, tre… via! Questo viene da pensare dopo essere passati Al Tre Milano ed aver conosciuto Andrea e Barbara, che da Bergamo solo un mese fa hanno sostutuito l’inutile e poco attraente self service Spacca (che gestivano), con loro enoteca con cucina, aperta fin dal mattino e tutto il giorno anche come caffè.

    La voglia di lavorare non manca, tantomeno quella di portare la propria città, Bergamo, a Milano: una cantina ricca di etichette prevalentemente italiane e cercate una ad una preferendo piccoli produttori specializzati sui vari territori, la cucina (di cui si occupa Andrea) offre piatti tipicamente bergamaschi-bresciani, come i casoncelli, fino a ricette di pesce, come le linguine bio allo scoglio, e antipasti di salumi selezionati con gnocco fritto. Un luogo che ispira libertà e creatività, vedi anche i quadri alle pareti e l’ambiente caldo, accogliente, che in due sale dalla luce morbida, permette di rilassarsi e incontrarsi, con se stessi e con gli altri, lasciando cadere preconcetti e idee sclerotizzate. Un po’ come hanno fatto i due fondatori, che si sono coraggiosamente proposti Al Trè di via Gustavo Modena e già stanno incuriosendo Milano.

     

     

    Indirizzo: Via Gustavo Modena 3, 20129

    Telefono: 0236736833

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