Perchè un teatro italiano produce un spettacolo di una compagnia che ha sede all’estero? che cosa guida le scelte di un direttore?
Di Marta Calcagno BaldiniCategoria Interviste ai direttori
Pubblicato Maggio 14, 2025

Lo abbiamo chiesto a Emilio Russo, alla guida del Teatro Menotti dal 2010
Dopo la visione di Le nuvole di Amleto di Eugenio Barba e l’Odin Teatret al Teatro Menotti (che Milanoateatro ha recensito qui: L’Odin Teatret da Holstebro al Menotti, per un “Amleto” che arriva al cuore degli spettatori – Milano a Teatro), abbiamo intervistato Emilio Russo, direttore della Sala tra Città Studi e Porta Venezia, il cui lavoro Milanoateatro ritiene convincente sotto molti aspetti (lo avevamo già intervistato qui: “Il Teatro è l’unico posto dove non si brucia tutto in un attimo”: Emilio Russo direttore del Menotti svela il suo modo di concepire la sala: ricerca e accoglienza insieme – Milano a Teatro). Volevamo indagare la motivazione, la convenienza, l’onere e l’onore della produzione di Le nuvole di Amleto, uno spettacolo di una compagnia altra rispetto a Tieffe Teatro (così si chiama quella del Menotti) e con sede all’estero.
Perché questa scelta?
L’Odin fa parte della cultura non solo mondiale, ma anche italiana. Perché Eugenio Barba è italiano, certo, ma anche perché il teatro dell’Odin è un fenomeno internazionale che conosco da più di 30 anni. A volte capita che le cose avvengano per caso: ci siamo incontrati più di un anno fa con Barba, senza averlo programmato, a Roma. Lui era lì per proporre di celebrare i 60 anni della Compagnia: per quanto riguarda Milano, non mi sono lasciato scappare quest’occasione e abbiamo organizzato il lavoro andato in scena nella scorsa stagione e una serie di ulteriori iniziative. Barba mancava da 20 anni a Milano: mi sono stupito di vedere tanto amore e partecipazione per l’Odin. Quindi poi abbiamo deciso di approfondire, continuare il lavoro insieme: ci siamo incontrati per un caffè e mi ha parlato di progetto delle Nuvole. Ho coinvolto Valter Malosti (regista e attore che da maggio 2021 è direttore di Emilia Romagna Teatro Fondazione/Teatro Nazionale, n.d.r) e lo abbiamo prodotto. Lo spettacolo ha debuttato in Messico e poi è stato in Cina per i contatti che Barba ha in tutto il Mondo. Ma la prima era a Milano: 5 repliche.
Da Direttore di un teatro, che esperienza è stata?
Ha stravolto la sala, anche se, secondo i suoi canoni, lui ha quasi sempre fatto spettacoli a pianta centrale. Raro che utilizzi i palchi all’italiana come è il Menotti. Smontare tutte le poltrone e disporre la sala nel modo da lui richiesto ha un costo, e, al posto dei nostri abituali 600 posti, ne avevamo 150. Nessuna convenienza economica, ovvio.
Del resto se uno fa un lavoro come il mio e non si prende i rischi è quasi inutile che lo faccia: sono capaci tutti ad ospitare e produrre spettacoli di sicuro equilibrio economico. Noi al Menotti ci prendiamo un sacco di rischi, ma veniamo ripagati. Ora con l’Odin stiamo lavorando ai 90 anni di Barba, che è del 36. Stiamo studiando un modo. Forse la ripresa di questo Amleto, che è andato sold out tutti i giorni. Per me, che vengo dal teatro sperimentale degli anni Settata e Ottanta, quel modo di andare in scena è tutto.
Aveva già incontrato Eugenio Barba?
Sì, ero un giovanissimo organizzatore che si occupava gratuitamente di teatro in Sardegna: l’Odin è stato un faro nella sua miscela di danze e musica, costumi colorati. Contaminazioni da tutte le parti del Mondo per costruire un nuovo modello di spettacolo che Barba ha sintetizzato nel suo straordinario “Manifesto per il Terzo Teatro”, un vero e propio faro per intere generazioni. Barba mi ha insegnato alcune perle per interpretare lo spettacolo. Ad esempio sostiene che il teatro non è un problema di numeri: se hai 200 persone in sala sei felice. E puoi conoscerle, vederle una ad una, incontrarle tutte in una sera. Non funziona come in tv che è tutto problema di audience: il popolo segreto dell’Odin è una comunità che lo segue, e nonostante gli anni che passano ha ancora successo. Magari è fuori moda, ma il pubblico lo ama. La gente ha bisogno di qualità e di conoscere, non di riconoscere. D’altro canto non mi spaventano anche i numeri grandi: aldilà di fenomeni come Barba, se tu fai un lavoro di interesse pubblico in genere devi lavorare per far vedere ogni spettacolo al numero più alto di persone. Se dirigi un teatro devi avere uno staff, e io ce l’ho, che s’impegna ogni giorno per portare tanta gente a teatro. Ed esistono anche sale di ospitalità, che non fanno ricerca, senza problemi: per loro vale lo stesso. In questo il Teatro Manzoni è uno dei più validi.
Di quanto è stato l’investimento per l’Odin?
Non è stato uno spettacolo costoso: 100mila euro divisi tra noi, l’Odin e ERT. Di solito le produzioni costano 300mila euro, più o meno, insomma ci sono ovviamente produzioni con costi molto superiori.
Anche “Demoni” di Peter Stein era una vostra produzione. Come avviene la scelta di un lavoro non interno al proprio teatro da sostenere? Venite contattati dal regista o siete voi a proporre la produzione di un suo nuovo lavoro?
Demoni, spettacolo di 15 anni fa, ha una storia molto lunga. Io sono amico di Stein, mi vanto di non aver mai litigato con lui. Sono amico anche di Maddalena Crippa, attrice e sua moglie. Lo spettacolo doveva essere prodotto dallo Stabile di Torino, ma per problemi legati alla produzione Stein lo ha ritirato e ha portato tutto nella sua campagna in Umbria, ha deciso di farlo da solo. E’ uno spettacolo di 11 ore. Sono andato a vederlo, mi è piaciuto e gli ho proposto di finanziare la diffusione. Inizialmente non voleva. Poi ho trovato ospitalità in due festival europei, e ha accettato. Siamo partiti da Milano, in Bicocca, e lo abbiamo fatto. Lo spettacolo, per 27 attori, 5 tecnici, ha girato tanto: da New York, a Parigi, a Vienna. Poi con Stein il lavoro è continuato: Il Compleanno, produzione del 2023, regia di Stein ed è stato realizzato con parte della compagnia dei Demoni. E così Crisi di nervi, del 2024: mi interessa la continuità.
Eppure il teatro è un’arte effimera
Il Teatro per me non è un genere, è un luogo. E il Menotti sta diventando un luogo dove gli artisti amano tornare (vale anche per Paolo Rossi, Marco Balliani, i Nogravity, i Familie Floez…): artisti che hanno piacere ad andare in scena qui. Lo stesso Barba mi ha scritto una lettera di ringraziamento estremamente affettuosa per come si è trovato. E devo dire che il pubblico ci ama, dall’anno scorso sono aumentati gli spettatori del 40%.
Quindi riuscite a rientrare dei costi, e magari anche a guadagnare?
Riusciamo a chiudere alla pari unendo le tournée e i contributi pubblici. Ma gli incassi maggiori vengono dal botteghino: per dirigere un teatro ci deve essere un grande lavoro sul pubblico. Viviamo in una città molto aperta al teatro e dove ci sono mille occasioni, ieri sono andato in Triennale all’inaugurazione: era pieno di giovani.
Quando il Piccolo sostiene spettacoli di registi stranieri ricordiamo che è parte dei Teatri d’Europa (associazione voluta e creata nel 1990 da Giorgio Strehler e Jack Lang per unire produzioni europee, promuovere scambi culturali e di formazione). Voi a quali finanziamenti fate riferimento? O non è necessariamente quello dei contributi pubblici il metodo migliore per fare cultura (il Menotti è stato salvato grazie ad un privato, Filippo Perego).
Certo, il teatro è stato salvato da un mecenate. Noi abbiamo il finanziamento del Ministero, il Fus, e siamo convenzionati con il Comune e la Regione. Siamo anche abbastanza bravi a trovare sponsor. Soprattutto, però, ripeto, vendiamo biglietti al botteghino e i nostri spettacoli in tournée: abbiamo una politica molto basata sul nostro lavoro. Altri teatri hanno finanziamenti altissimi, anche se, va detto, bassi rispetto al resto del Mondo.
Facciamo degli esempi
Piccolo, Scala e Triennale sono le eccellenze di Milano. Sommando noi, il Teatro dell’Elfo e il Franco Parenti arriviamo tutti e tre insieme a un numero di spettatori più alto del Piccolo da solo, ma sommando i nostri contributi prendiamo molto meno: noi 120mila euro a teatro dal Comune, 560mila dal Ministero e 60mila dalla Regione (Il Piccolo nel 2022 ha ricevuto 5.882.500 dal Ministero, 850.950,00 euro da Regione Lombardia e altri contributi, dati del Bilancio consuntivo del Piccolo Teatro al 31/12/2022, n.d.r.). Bisognerebbe cominciare a calibrare il pubblico in base alle entrate del teatro. Noi per riuscire a mantenere i nostri ritmi dobbiamo trovare sponsor e vendere il più possibile di biglietti.
E’ per questa mancanza di sostegno economico che oggi vanno tanto le teniture brevi degli spettacoli?
Anche, ma a volte è mancanza di coraggio. Le compagnie ospiti temono di avere la sala vuota, preferiscono stare pochi giorni. Io sulle nostre produzioni faccio 2 o 3 settimane di tenitura. Un tempo, però, non era così: c’era la critica teatrale. Oggi i critici non esistono quasi più (apprezzo il lavoro di Milanoateatro in questo senso): dopo aver recitato a Milano uscivano articoli di critica, e, se anche magari non si usciva con un buon guadagno economico, si riceveva la nomea. E così anche Milano sta perdendo la sua voce di richiamo per le compagnie. E stando in scena una sola settimana è difficile riuscire ad organizzarsi in una grande città, un circolo vizioso.
Che reazioni avete avuto dopo “Le nuvole di Amleto”?
Tutti entusiasti: recensioni, online, e poi commenti su Facebook e Google. E non era uno spettacolo facile. Si è creato l’evento. Anche la peculiarità dell’Odin di non uscire a raccogliere gli applausi: non escono mai. È una loro cosa storica. Ai Dervisci è proibito applaudire: del resto la varietà è la bellezza di questo lavoro. Il teatro è tutto.
Ama il teatro di Eugenio Barba anche perché le sembra che in Italia non ci sia un artista, o meglio un gruppo di artisti, così significativo? Qual è secondo lei oggi la situazione del teatro nel nostro Paese, di regia e non solo?
Gruppi come l’Odin sono unici. Sì, il teatro di regia oggi è considerato fuori moda, ma io non sono d’accordo e devo dire che ci sono giovani registi bravi. A me interessa il risultato finale: il regista mette insieme tutto, attori tecnici, scenografi… Io poi amo i registi che scrivono, ma resta il fatto che il regista è un direttore. E deve essere bravo a scegliere il cast anche dal punto di vidta umano: a me nn interessa la psicologia dei personaggi, ma quella degli attori: come spettatore sai che vai a vedere un momento di finzione, ma se l’attore riesce a farti credere a una storia che conosci allora è valido. Gli attori sono la parte più importante dello spettacolo: a volte, come regista. mi stravolgono le idee che mi sono fatto di uno spettacolo. Devo essere aperto, non incaponirmi, come farebbe anche il direttore di un’azienda. Anche con le luci: se io ne preferirei una bianca, ma tecnico mi dice gialla, provo gialla. Ogni spettacolo è stressante: nel mese e mezzo che si prova bisogna essere lì al 100%. Non ci sono mogli, mariti o figli. Bisogna essere solo per lo spettacolo. Poi ci sarà il tempo per fare il resto..
Qualche anticipazione sul prossimo cartellone? Da quanto ci state già lavorando?
L’operazione avviene tutto l’anno. Ma io non mi spavento a riportare lavori di anno in anno: mi piace la continuità. Mi piace che il teatro crei delle suggestioni. Amo molto la musica, e posso anticipare che nella prossima stagione lavorerò su Rino Gaetano: non la sua storia, ma le sue canzoni e parole. Sarà una stagione intensa.
Qualche anticipazione su “Nuova Balera Pizzigoni”, la sua regia che torna in scena dal 22 al 30 maggio, e un commento sullo Spazio Atelier, la piccola sala che avete inaugurato nel bar.
Il mio spettacolo una follia. A me il mondo della balera ha sempre affascinato: destini che si incrociano, mondi che si avvicinano. Lo racconto. E mi piace pensare che anche il teatro sai un luogo senza tempo in cui avviene l’incontro tra le persone. Anche Spazio Atelier è una storia assurda: nasce perchè gli spettacoli per pochi spettatori da noi non possono essere ospitati, la sala è troppo grande. Ma ne avevamo tanti che avremmo voluto portare, a parte Barba. Quindi abbiamo allestito il bar con una pedana, e ci stanno circa 60 posti seduti. In cartellone abbiamo per l’Atelier un programma simile a quello che portiamo in estate in Sormani per la rassegna Menotti in Sormani appunto, che era nata in periodo Covid e ha molto successo. Quest’anno sarà dal 2 al 30 luglio con spettacoli tutti i giorni alle 19,30 di sera con luci naturali.
Ma in vacanza, mai?
Ma certo: vado a Cervinia a sciare, e amo viaggiare.
Info. Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11
www.teatromenotti.org, biglietteria@teatromenotti.org, tel. 02-82873611