Alessandro Arnone racconta i suoi 10 anni a capo del Manzoni: “Ogni teatro porta il suo contributo specifico alla diffusione della cultura: credo sia necessaria oggi una diversa distribuzione dei finanziamenti pubblici in Italia”.

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Interviste, Interviste ai direttori

Pubblicato Aprile 21, 2023

Il direttore Alessandro Arnone, credit @Teatro Manzoni
Il direttore Alessandro Arnone, credit @Teatro Manzoni

Il Teatro Manzoni festeggia i suoi primi 150 anni. Il Direttore racconta i segreti della conduzione di un teatro privato, e disegna un quadro generale sulla situazione dei teatri milanesi.

Una laurea in economia e poi una carriera nelle multinazionali. Anni a Fininvest, fino al Manzoni di cui è Direttore Generale (oltre che Consigliere in Amministrazione) dal 2013. Che effetto fa amministrare un teatro dopo a ver gestito delle multinazionali?

È un bell’effetto, piacevole: le esperienze nelle multinazionali servono e sono utili a gestire un teatro. Infondo anche un teatro è un’azienda, è un business. Solo che nella cultura stare in piedi con le proprie gambe è più difficile. Certo, il Teatro Manzoni ha dietro Berlusconi, che da 45 anni lo finanzia, del resto per questo tipo di teatro i contributi statali non sarebbero sufficienti.

Altre sale, come il Piccolo Teatro, ricevono contributi sostanziosi: in cosa si distingue una sala che riceve ampi finanziamenti pubblici da una che non ne riceve o quasi?

Il Piccolo riceve ogni anno svariati milioni di euro, più quelli che gli arrivano dal fatto di essere Teatro d’Europa. Poi ci sono il Franco Parenti e l’Elfo Puccini che sono Tric-Teatri di rilevante interesse culturale. A Milano sono queste due sale, e ricevono 1 milione e 400 euro ciascuna. I Centri di produzione, come il Carcano, ricevono 900mila euro. Teatri come il Manzoni, che ospitano solo spettacoli, ricevono sui 50-60 mila euro annui. Secondo me è troppo di meno: noi ospitiamo circa 40 spettacoli l’anno, e sono compagnie private che grazie a noi girano e trovano un teatro. E’ un ruolo altrettanto importante il nostro, facciamo girare le produzioni. Credo sia ora di adottare una diversa modalità di valutazione dei finanziamenti sala per sala.

Festeggiamo quest’anno i suoi 10 anni di direzione del Manzoni. Che tempo è un decennio per un teatro?

Per un teatro oggi 10 anni sono un periodo molto importante perché la società cambia continuamente. Infatti in questo lungo periodo il Manzoni ha stabilizzato certe sue peculiarità, come quella di essersi aperto alla famiglia: i sabati pomeriggio è sempre tutto esaurito, ed è dedicato ai bambini. È l’occasione per i genitori o i nonni di stare con i bimbi portandoli a teatro: non esiste solo il digitale. Il teatro è dal vivo: possono sentire le frasi dei loro eroi recitate direttamente lì, al momento, da attori veri, con cui entrano in contatto e si appassionano subito. È uno dei nostri successi da quando c’è la mia gestione.

Come si prepara un cartellone e quanto conta la conoscenza del proprio pubblico nel programmarlo?

La conoscenza del pubblico è fondamentale: il Manzoni conta 4mila abbonati, quindi è importante capire chi è questo pubblico fidelizzato. Si parte da qui e si cerca allo stesso temo di ampliare sempre l’orizzonte, quindi proponendo anche spettacoli che magari possano coinvolgere un pubblico ulteriore e allo stesso tempo stimolare quello degli abbonati anche a incontrare generi o lavori nuovi. Come è successo ad esempio per il Festival di Magia: il Manzoni è l’unico teatro che lo organizza, e richiama artisti da tutto il Mondo. Tornerà a gennaio 2024 dopo anni di pausa a causa Covid.  

Parliamo di un pubblico omogeneo o, come ho letto, lei stesso preferisce riferirsi a vari tipi di spettatori? Non è molto più difficile?

Certo, lo è. Ma per il Manzoni è inevitabile: ha un genere di pubblico molto trasversale. Noi puntiamo sul fatto che è gestito in maniera meravigliosa quanto a conservazione della sala, del foyer, degli affreschi anni ’50. Senza dimenticare la collocazione logistica meravigliosa. Attira persone sempre diverse.

C’è un dialogo col pubblico in quanto direttore, o è più un ruolo che vuole porsi come invisibile, lasciando che siano gli spettacoli a parlare?

Io preferisco la seconda. Che parlino gli spettacoli. Mi rivolgo direttamente al pubblico a settembre, quando presento la stagione ad abbonati e giornalisti.

Eppure mi sembra molto presente in teatro. Ogni quanto ci va, anche la sera intendo? Io l’ho incontrata, e abbiamo programmato l’intervista al bar del Manzoni aspettando di entrare a vedere uno spettacolo, e non era una prima.

Ci vado molto spesso. Sono convinto che per gestire un teatro devi amarlo molto. Vado a vedere uno spettacolo anche due o tre volte: del resto ogni sera è diverso. E poi durante l’anno giro tantissimo i vari teatri italiani e non solo, anche per vedere lavori che poi vorrei portare al Manzoni.

Quanto contano il bar e gli eventi collaterali, pomeridiani o mattutini, per il bilancio?

Il bar è un servizio per il pubblico. Deve essere un gradevole luogo per gli abbonati, di ritrovo. Gli eventi collaterali invece ci servono per coprire i costi fissi: noi tutte le sere abbiamo spettacolo, a volte anche di sabato e domenica pomeriggio. Ma tutte le mattine la sala è chiusa: grazie alla presidenza di Ernesto Mauri, che ho accolto come una novità bellissima, ora le mattine sono ancora più attive anche per le sue conoscenze.

Lei viene dalla Bocconi: consiglierebbe a un giovane di studente di partire nella sua carriera dirigendo un teatro, o meglio arrivarci con esperienza, e quindi un teatro sarebbe più complicato da gestire di una multinazionale?

Non c’è una ricetta fissa. Io vengo dalla Bocconi, ma il mio braccio destro aveva scelto una facoltà economico-culturale di quelle proposte sempre in Bocconi. Per chi ha già le idee chiare è positivo indirizzarsi fin da subito nella specializzazione di manager in arte e cultura.

Ma quindi, tornado a discorso con cui abbiamo aperto l’intervista, se i manager in ambiti culturali avessero maggiori conoscenze economiche si riuscirebbero anche a chiedere meno finanziamenti pubblici?

I contributi pubblici restano fondamentali. Parlando del teatro credo che il turismo sarebbe una risorsa importante, non fosse per la lingua: è chiaro che a Londra molti turisti stranieri la sera riempiono i teatri, qui è più difficile.

www.teatromanzoni.it

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