Dall’eccessiva burocrazia, alla “bulimia di testi teatrali” contro la crisi della critica: Corrado D’Elia a Milanoateatro si toglie qualche sassolino dalla scarpa prima di andare in scena al Parenti e al Castello Sforzesco

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Interviste

Pubblicato Luglio 10, 2023

Corrado D'Elia durante l'Iliade, credit @ChiaraSalvucci
Corrado D'Elia durante l'Iliade, credit @ChiaraSalvucci

Intervista all'attore, regista, drammaturgo e organizzatore milanese: non si ferma mai, per questo la sua consapevolezza può aprire spunti davvero stimolanti e nuovi

Sentiamo Corrado D’Elia prima che salga su un taxi per partire per una delle sue innumerevoli mete. Sì perché l’attore, regista e organizzatore teatrale milanese, classe 1967, è a tutti gli effetti inarrestabile. Lo si aspetta nella sua città l’11 luglio, ore 21.30, ai Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti con “Iliade” (suo progetto e regia, anche interprete, www.teatrofrancoparenti.it), e poi il 13, ore 21, al Castello Sforzesco nella Rassegna Estate a Castello 2023 (su Milanoateatro e abbiamo parlato qui: Ce n’è per tutti i gusti: parte oggi Estate al Castello con un variegato programma di concerti – Milano a Teatro) con “Io, Steve Jobs” (di e con Corrado d’Elia, progetto scenico e grafico Chiara Salvucci).

E non è difficile immaginarlo in attesa di un taxi, se pensiamo che l’1 luglio è già stato a Carditello (Na) alla Reggia per “Carditello opera pop” con Mario Incudine, il 3 e 4 a Genova con “Filottete” di Sofocle, che il 5 ha portato a Ventimiglia e il 7 a Trieste e l’8 a Luini (Sp).

Ma non si ferma mai? Ci racconti le sue abitudini giornaliere e ci spieghi quando trova il tempo anche di scrivere, dato che la maggior parte dei suoi spettacoli sono sue drammaturgie, produzioni e regie, oltre che con lei come attore, a volte unico.

Mi sveglio alle 6.30, la prima ora leggo la rassegna stampa, -risponde tranquillamente, senza ansia. Con un tono di voce sicuro e non preoccupato dall’idea dello sforzo-. Poi per un’ora mi dedico alla traduzione dal greco, una mia passione: non significa andare indietro nel tempo, mi raccomando: qui si trovano le radici della nostra lingua e civiltà. Poi mi metto al computer, e c’è tutta la parte di lavoro di ufficio che riguarda Teatri Possibili (l’associazione che D’Elia ha fondato nel 1995 e che comprende in varie città italiane diversi corsi e attività di formazione prevalentemente teatrale con anche declinazioni nella regia, comunicazione, fotografia,  scrittura, canto e altro, n.d.r.). Qui però mi scontro con la burocrazia: è sempre la cosa più lunga. Poi parto.

Ovvero?

Parto per la mia nuova meta, dove avrò lo spettacolo. E mentre sono in viaggio scrivo, lavoro.

Bè, forse questo ormai ce lo aspettavamo. Ciò che però ancora colpisce è che il suo racconto non contiene stress, stanchezza o tensione: solo con consapevolezza. Eppure, con un programma di tournée così articolato, come riesce a unire l’aspetto artistico a quello organizzativo (senza impazzire)?

Ma no, non c’è da impazzire. L’essere artisti, la sensibilità, non sono un peso. Certo, vorrei giornate da 48 ore perché recitare è solo la punta di un iceberg. Ma per me è rilassante lavorare così, comunque io scrivo per esprimermi: descrivo la società che vedo, che incontro. Mi piacerebbe scrivere un libro a riguardo.

A proposito di libri, è apppena uscito un suo volume e non uno da poco.

Si chiama “Strade Maestre, i maestri del teatro contemporaneo” (Cue Press Edizioni, collana GLI ARTISTI, pp. 222, euro 24,99). L’ho scritto con Sergio Maifredi: per due anni abbiamo viaggiato l’Europa e siamo andati a trovare i grandi maestri del teatro contemporaneo ancora in vita. Gli abbiamo posto delle domande, cercato di carpirne segreti, ricordi e spesso opinioni inaspettate e del tutto inedite. In un viaggio che ha toccato alcuni dei luoghi cardine della cultura europea (Berlino, Tolosa, Gent, Roma, Palermo, Parigi e Losanna): Dodin, Latella, Barba, Stein… grandi uomini. Abbiamo porto loro domande sulla regia e il suo valore oggi.

Certo che tra libri e spettacoli suo repertorio non ha neanche preferenze di epoche e generi. A Milano sta per portare due serate estive: prima l’Iliade al Parenti, poi Steve Jobs al Castello Sforzesco, due testi suoi. Passa dalla storia del teatro, all’epica all’informatica. Come gestisce tutta questa ricchezza di ispirazioni? E’ anche aiutato da uno staff di collaboratori?

La parte artistica è tutta su di me, i collaboratori che mi seguono si concentrano solo sugli aspetti tecnici. Del resto credo che il repertorio di un artista vada coltivato, curato, tenuto con amore: siamo in un sistema, italiano, in cui siamo divorati da una bulimia di testi. Io vedo il mio repertorio come un giardino ben curato (il suo “Ciano di Bergerac” ha compiuto 25 anni, n.d.r.) e in cui mi piace passeggiare… nel tempo questa attenzione ha fatto la mia fortuna. Ora vengo a Milano e ho i due palchi più belli della città, due luoghi incantati, il Parenti e il Castello.

Partiamo dall’Iliade (lavoro del 2016): è parte degli album, racconti intimi per lei. Cos’ha di intimo un’opera epica?

Tutto: è il nostro incipit, è da dove arriviamo: noi veniamo dalla parola, soprattutto oggi che la parola ha ceduto il posto all’immagine. L’Iliade è tradotta da me, ci ho lavorato diversi mesi: è uno spettacolo necessario. Ho letto l’Iliade nella sua parte emotiva, mi concentro sulla pietas, sentimento che ancora ci riguarda oggi (significa sapersi prendere cura del prossimo, degli altri, n.d.r): nella mia Iliade non c’è il dio che interviene a modificre il destino dell’uomo, mi sono concentrato sulle parti tra persone umane.

Anticipi anche qualcosa di “Io, Steve Jobs” (spettacolo del 2021): perché lo ha scelto tra i suoi lavori?

Certo, è uno spettacolo dedicato a Steve Jobs, l’inventore di Apple e ai suoi mille volti: il genio, il ribelle, l’anticonformista, l’uomo che più di altri ha creduto e si è battuto per la bellezza, l’uomo che ha saputo innestare l’anima alla tecnologia, ma anche il solitario, il visionario, il cocciuto e l’idealista, a metà tra Don Chisciotte e Ulisse, colui che ha fallito miseramente ed ha saputo rialzarsi in maniera eccezionale. Steve Jobs il sognatore, il genio, l’uomo che ha cambiato per sempre le nostre vite, permettendoci di comunicare e di creare in ogni luogo. Insomma non è uno spettacolo per parlare di tecnologie, ma di umanità. Dell’uomo davanti alle sue scelte.

È diverso interpretare uno spettacolo in cartellone estivo da uno invernale, a Milano in particolare?

Certo, all’aperto e in più davanti a mille persone diventa più un happening. Come un concerto jazz: il pubblico ti dà una spinta forte.

Cosa pensa oggi del teatro italiano e soprattutto della critica, in riferimento alla polemica che ha giustamente acceso con l’articolo di Franco Cordelli sul Corriere? C’è un bel gruppo di critici, o sedicenti tali, ancora ancorati a stereotipi teatrali del 1900 e, per loro, tutto il resto è fuffa, o sbaglio?

Abbiamo bisogno forte di una vera critica teatrale: che possa essere un vero riferimento per il pubblico. Scientifica, vera, che sappia raccontare e spiegare lo spettacolo, il regista, gli attori, che possa aiutare davvero il pubblico.

1 commento

  • grazie Corrado, e’ vero! la critica non esiste più a teatro! e quando c’è, sui canali più noti, parlano i soliti due o tre antichi reperti che inneggiano a un teatro ormai passato, con protagonisti che hanno fatto il loro tempo. ecco perché nasce Milanoateatro!!!

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