Il ‘Teatro’ di Cesare Lievi, le prime 510 pagine che raccolgono la drammaturgia dell’autore italiano e mitteleuropeo
Di Marta Calcagno BaldiniCategoria Oltre il sipario
Pubblicato Febbraio 3, 2023
Ieri, giovedì 2 febbraio, alla Casa della Cultura a Milano in via Borgogna 3 si è svolta la presentazione di “Teatro” (Casa ed. Sholè, 510 pp, 35 euro) il volume che raccoglie le 10 drammaturgie di Cesare Lievi, il regista teatrale, autore, poeta e professore di Gargnano classe 1952. Alla presenza di Paola Carmignani, critica teatrale per il Giornale di Brescia,…
Ieri, giovedì 2 febbraio, alla Casa della Cultura a Milano in via Borgogna 3 si è svolta la presentazione di “Teatro” (Casa ed. Sholè, 510 pp, 35 euro) il volume che raccoglie le 10 drammaturgie di Cesare Lievi, il regista teatrale, autore, poeta e professore di Gargnano classe 1952. Alla presenza di Paola Carmignani, critica teatrale per il Giornale di Brescia, e, in collegamento video, di Marina Corona, riconosciuta scrittrice milanese, anche l’autore si è raccontato nello svelamento di una grande opera che tuttavia rappresenta solo una minima parte del suo lavoro drammaturgico: “Questo è solo il primo volume dei due che ho in mente -rivela ai presenti-, e raccoglie le drammaturgie scritte ‘a tavolino’ in 30 anni: dalla fine degli anni ’90 a 2020”. Ne seguirà un secondo: “sarà sui testi che ho costruito direttamente in prova, insieme ad attori, scenografo, costumista etc”.
“Fratelli, d’estate”, “Varietè-un monologo”, “Fra gli infiniti punti di un segmento”, “Festa d’anime”, “Fotografia di una stanza”, “La badante”, “Il vecchio e il cielo”, “Soap opera”, “Cigni selvatici. Una storia per bambini”, “Il giorno di un dio. Dodici frammenti unici in ricordo di Martin Lutero”: sono drammaturgie completamente diverse, ma anche non: le accomuna l’assenza di una vera trama, il che rende l’intera opera di Lievi ancora più interessante per chi ritiene che il teatro sia un’arte di movimenti e parole, ma non per raccontare necessariamente una storia, bensì per esprimere dei concetti e dei sentimenti in modo autentico, puro, senza la sovrastruttura della trama. In questo l’opera dell’autore del Garda è magistrale e allo stesso tempo frastornante: ci si avvicina a testi che sono più che altro affreschi, fotografie di situazioni. Anime che convivono con persone, ne condividono gli spazi tra chi è vivo e chi non lo è più, quantomeno qui sulla terra. Le relazioni si costruiscono solo nella distanza e continuando a cercare di superare i pericolosi ostacoli della incomunicabilità. Nella drammaturgia di Lievi il non-detto è un’ombra che avvolge ogni situazione e crea un margine di fascino intrinseco: non essendoci neanche quasi mai una stretta relazione tra ciò che accade in scena e i personaggi che la vivono, gli accadimenti si prospettano più di volta in volta come delle apparizioni, delle scene ricche di senso soprattutto nelle relazioni che i vari personaggi instaurano fra loro: “i legami tra le persone, anche nella distanza, sono il fulcro dell’opera di Lievi” ha detto ieri la Carmignani. Ed è nelle relazioni che si riconoscono di volta in volta le tematiche ricorrenti nell’opera di Lievi: il tema della vecchiaia, della perdita della memoria, di Dio e dell’umanità, della Storia, del conflitto generazionale… il lavoro di Cesare Lievi è “una vetrina polimorfa- come l’ha definita la Corona-, complessa e allo stesso tempo piacevole. Storie che accadono in una dimensione statica e mistica allo stesso tempo, che non è funzionale alla crescita dell’umanità perché avvengono sempre in un mondo chiuso”.
Certo, sono delle astratte rappresentazioni dei movimenti dell’anima: ma proprio imparando a leggere questi l’umanità può crescere. Un mondo comunque mentale, raccolto nel calore degli spazi domestici con il freddo che batte alle finestre, e che ci riporta alla letteratura tedesca di Goethe. Perché, altro elemento da non trascurare, la weltanshauung (per restare in tema) di Lievi è strettamente legata al nord Europa. La sua stessa opera teatrale è sempre stata più compresa in città come Basilea, Francoforte, Amburgo. Il motivo di questa emigrazione verso la Mitteleuropa è duplice e presto detto: da un lato Lievi, laureato in lettere a Padova, essendo natio del Garda ha sempre frequentato artisti e intellettuali tedeschi e austriaci che qui venivano in vacanza. Dall’altro, con il fratello Daniele, scenografo, con cui lavora ininterrottamente fino alla precoce morte di quest’ultimo, appena avevano due lire prendevano l’auto e partivano: Berlino, Vienna, Francoforte. Al punto che Gargnano concede nel 1979 ai fratelli l’utilizzo di una sala in una vecchia caserma in disuso. Nasce così il Teatro dell’Acqua, una sala in cui i fratelli portano le prime sperimentazioni teatrali. Di cui la più celebre è “Barbablù”, presentata alla Biennale di Venezia nel 1984 grazie al critico Franco Quadri, che in quegli anni dirigeva la Biennale Teatro: “eppure 170 lavori nostri sono andati in Nordeuropa, solo una quarantina in Italia” sottolinea Cesare.