“Lasciateci perdere”: il nuovo libro di Gabriele Salvatores sulla sua carriera e la sua vita

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Oltre il sipario

Pubblicato Dicembre 6, 2023

Da sinistra: Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Gabriele Salvadores, Marco Villa, Paola Jacobbi credit@MartaCalcagno
Da sinistra: Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Gabriele Salvadores, Marco Villa, Paola Jacobbi credit@MartaCalcagno

Dall'incontro con la giornalista Paola Jacobbi il regista si apre raccontando il suo mondo, dove l'affermazione d'indipendenza non esclude la sconfitta

Sala Shakespeare (la più grande) quasi piena ieri sera, martedì 5 dicembre, all’Elfo Puccini a Milano: il pubblico era accorso non per uno spettacolo, ma per la presentazione di Lasciateci perdere (ed. Rizzoli, 18 euro, 226 pp), l’autobiografia di Gabriele Salvatores scritta con Paola Jacobbi, giornalista esperta di cinema: “Poter parlare con Salvatores è stato un sogno” ha rivelato ieri l’autrice dal palco del Teatro Elfo Puccini, sedendo alla presenza del regista, dei padroni di casa, Ferdinando Bruni e Elio De Capitani e di Marco Villa, il moderatore. “Abbiamo raccolto tantissimo materiale -ha continuato la Jacobbi–: volevo emergesse proprio la sua forte visione. E mi sono divertita moltissimo, mi sento molto fortunata.”.

“Mi è quasi sembrata più una seduta di psicanalisi che un libro -ribatte subito Salvadores-: io parlavo liberamente, si sono create subito associazioni e gli argomenti sono emersi. Anzi, forse certe cose avrei fatto meglio a non dirle”, riflette il regista. Eppure il libro scorre, pagina per pagina, quasi senza la mano della coautrice: è riuscita perfettamente a raccontare il protagonista con le sue stesse parole, facendone emergere tutte le specificità e le sue caratteristiche.

Brevi tratti, e si delinea la figura di questo ex-giovane milanese che parte dal teatro, precisamente dalle recite in casa con le due sorelle (attrici, cavie, prime testimoni), e arriva ad essere tra i fondatori del Teatro dell’Elfo negli anni Settanta: “Ma tu hai sempre ragionato in termini cinematografici” gli dice con la franchezza di un amico di lunga data De Capitani. “Il cinema è la casa del regista, il teatro quella dell’attore” ribatte Salvatores. “E tu avevi delle idee complicatissime da portare in scena sul palcoscenico” risponde ancora De Capitani. Bruni è più diplomatico: “dopo 12 anni di teatro insieme si può anche cambiare. Ci eravamo conosciuti alla scuola del Piccolo: poi provavamo i nostri spettacoli a casa nostra”. E mostravano i propri lavori ad un pubblico non istituzionale: “Milano ci ha subito accolti -confida Salvadores-: erano gli anni in cui si trovavano i cartelli ‘non si affitta ai meridionali’, eppure il pubblico qui era già il più critico, e ci apprezzava. Io tra l’altro ho iniziato a fare l’attore per caso, last minute: si era eclissato all’ultimo minuto chi avrebbe dovuto fare il protagonista in un nostro spettacolo e io sono stato costretto a sostituirlo”.

Attore per caso, dunque, nella sua città d’adozione, salvo poi doversi spostare spesso a Roma avendo scelto il cinema: città mai capita, la Capitale: “Roma mi incuteva paura: la paura di conoscerla meglio. Vivevo come un incognito: sfuggivo alla sua socialità, alle sue terrazze, a quel modo di prendere decisioni e fare affari, inevitabilmente, al ristorante, intorno a un tavolo pieno di cibo e promesse”. Salvatores, tratto che emerge evidentemente dal libro, è un carattere schivo e ansioso. Non può essere fatto per Roma, dove tutto è apparenza ed eccesso. Lo stesso titolo del libro è un chiaro monito quanto a umiltà e riservatezza: “Lasciateci perdere”. Che può essere inteso come “non disturbateci, facciamo da soli e a modo nostro”, ma anche “è consentito perdere”.

Ripercorrendo insomma la carriera cinematografica di Salvatores, da Mediterrraneo a Puerto Escondido fino al Ritorno di Casanova, Come Dio Comanda e Happy Family, ecco le connessioni che si ritrovano e il carattere di Salvadores che emerge visibilmente (scappa la sera delle Prime dei suoi film, l’ansia è lo stato d’animo che più lo contraddistingue). Per un libro che intreccia la vita privata con la carriera, ma non in modo invadente e malsano. Bensì facendo emergere quanto, in questo artista, l’una sia imprescindibile rispetto all’altra.

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