Tra orti e giardini sul mare per mostrare una Calabria “tra presente e futuro”: Antonia Berto e Marco Mottolese raccontano Estate a Casa Berto

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Chiudi gli occhi e voli via, Interviste

Pubblicato Settembre 4, 2024

Inizia domani, 5 settembre, fino all'8, la IX edizione del (Family) Festival che tra lectio magistralis, presentazioni di libri, documentari, premi e forum, (ri)accende la passione per la terra amata dallo scrittore veneto

Un giardino affacciato sul mare. Un bosco piantato da Giuseppe Berto, lo scrittore trevigiano di Mogliano Veneto (1914-1978), Premio Viareggio e premio Campiello, su un intero promontorio a Capo Vaticano, in Calabria, in provincia di Vibo Valentia. Negli anni Cinquanta lo acquistò da un contadino che utilizzò i soldi per le nozze della figlia. Nel 1962 Berto iniziò qui a scrivere il suo capolavoro, Il male oscuro.

Giuseppe Berto, Credit @CasaBerto

In effetti è un luogo che sembra pensato apposta per ispirare pensieri, parole, idee: una decina di case sparse nel parco e affacciate sul mare. Realizzate in pietra, dallo stesso Berto con l’aiuto di artigiani locali, tutte con una propria anima ma con una finalità comune: garantire a chi vi arriva la possibilità di creare, riflettere, stare tra la natura e la mente.

La spiaggia di Casa Berto, Praia i Focu, credit @marta-calcagno
Un esterno di una delle case in Casa Berto, credit @marta-calcagno

Oggi Casa Berto è il nome e la sede del festival letterario che si svolge in onore dello scrittore: da domani, 5 settembre, fino all’8, si apre la IX edizione di un Festival che ospita nella Casa nel bosco sul mare scrittori, giornalisti, cineasti che si confrontano con il pubblico rendendo queste giornate intime e profonde.

Da sinistra: Antonia Berto. Marco Mottolese e un amico negli anni ’70 a Casa Berto, Credit @CasaBerto

Abbiamo incontrato qui, in fase di preparativi finali, Antonia Berto, figlia dello scrittore, e Marco Mottolese, giornalista e frequentatore di Casa Berto dagli anni ’70 per la sua amicizia con Antonia, conobbe personalmente anche Giuseppe: insieme sono i direttori artistici del Festival e ideatori del Premio Berto, che ha Emanuele Trevi come presidente della giuria.

Perché avete deciso di definirlo un “Family festival”? Leggendo il programma mi pare si cerchino di sollevare argomenti non proprio leggeri o famigliari.

Beh, già nella parola “casa” è insito il concetto di “famiglia”. E famiglia non vuol dire sempre leggerezza, o protezione, anzi. Nel nostro caso vuol semplicemente segnalare che, quando sei a Estate a casa Berto, vieni accolto come verresti accolto in una famiglia, e qui parliamo sia dei nostri ospiti, coloro che vanno sul palco, ma anche degli spettatori, quelli che vanno in platea. Family Festival è come una DOP (denominazione di origine protetta) non puoi sbagliare formula. Per noi non c’è differenza tra chi fa lo spettacolo e chi lo fruisce. Family è anche l’accorciamento di distanza tra i noti e i “non” noti che, in altri casi, spesso è impensabile.

Una serata al Festival, credit @TommasoPugliese

Prendiamo il documentario “Viaggio nel Sud: la questione meridionale”, che proietterete la sera del 7 settembre (di Virgilio Sabel: inchiesta Rai del 1958 commissionata agli scrittori Giuseppe Berto e Giose Rimanelli): come è cambiata da allora questa regione? E che idea avrebbe Berto della Calabria di oggi?

Non possiamo parlare noi per lui, ovviamente, ma ha amato la Calabria forse perchè ci vedeva sia il passato che il futuro. Perchè ha scorto la bellezza e ha pensato di preservarla, appunto, per le generazioni a venire. La regione non crediamo sia cambiata molto, è un pò “storicizzata” , per usare una parola che non tutti comprendono appieno. Perchè in realtà “storicizzare” non è altro che vedere tutto in una prospettiva storica, ma non necessariamente cristallizzata. E in questo la Calabria insegna molto a chi ancora vuole studiare sociologia. Io credo che Bepi, come lo chiamavano e lo chiamano ancora gli amici, amerebbe ancora molto il suo buen retiro e le persone che vivono nei dintorni di Capo Vaticano.

Scorcio di Casa Berto, credit @marta-calcagno

Grazie alle numerose attività parallele (la mostra “Cemento Armato” e il documentario sul “non finito”, la musica dal vivo, il lancio, in anteprima esclusiva per il Festival e in onore del “Premio Berto”, la sera del 7 settembre, dei nuovi prodotti firmati da Distillerie Caffo, i cocktail in lattina a base di “Vecchio Amaro del Capo”), sembra che questo Festival abbia come obbiettivo quello di parlare della, ma anche e forse soprattutto alla Calabria. È così? E che risposta state ricevendo? le istituzioni mi sembrano sempre maggiormente coinvolte e finanziano, è vero?

Il festival rispecchia la vita di Berto. Lui era veneto, viveva a Roma e poi si lasciava ammaliare dalla Calabria. Estate a Casa Berto è come era lui: un pizzico di nord, una spruzzata di Italia centrale, e immancabili portate calabresi. Dopo dieci anni qualcuno si è accorto di noi ma non siamo quelli che chiedono piuttosto siamo quelli ai quali viene chiesto. Non abbiamo mai pensato di fare un evento con delle rigide economie; se c’è chi aiuta è il benvenuto, altrimenti ce la caviamo in famiglia. Forse questo è il festival meno sponsorizzato tra i mille festival estivi del nostro paese, ma non abbiamo neanche l’atteggiamento mecenatesco. Abbiamo un’economia domestica e ce la caviamo. Offriamo bellezza in cambio di un atto artistico; la formula funziona da dieci anni e forse potrebbe funzionare ancora per altri dieci.

Praia i Focu a Casa Berto, @marta-calcagno
Una delle case realizzate da Giuseppe Berto nella natura di Casa Berto, credit @marta-calcagno

Qual è l’opera vincitrice del Premio Opera Prima, e chi erano i cinque finalisti?

Questo non lo possiamo ancora annunciare. Lo si saprà il 7 settembre alle 20. Quello che possiamo dire è che la nuova giuria per questo Premio Berto 2024 , presieduta da Emanuele Trevi – uno dei massimo conoscitori contemporanei dell’opera letteraria di Berto – coadiuvato da Silvia Avallone, Elena Stancanelli, Luigi Mascheroni ed Emanuele Zinato, ha composto una cinquina notevolissima e, probabilmente, il Premio Berto tornerà agli albori, quando lanciò autori alle prime armi che poi si sono rivelati di grande livello. Qualche nome? Michele Mari, Luca Doninelli, Sandro Onofri, Paolo Maurensig, Francesco Piccolo, Helena Janeczek, Elena Stancanelli.

Uno scorcio della casa di Antonia nel bosco di Casa Berto: è qui fuori che si svolge gran parte del Festival, cedit @TommasoPugliese

Come avviene la scelta dei finalisti: cosa significa oggi essere uno scrittore “bertiano” (stile, idee, visioni). E chi può ergersi a giurato di tali caratteristiche?

I giurati li abbiamo appena nominati. Vince la qualità. Non serve essere seguace di Berto (peraltro dallo stile inimitabile) per entrare tra i finalisti. Mediamente arrivano sessanta o settanta opere inviate dai principali editori italiani ma anche dai più piccoli, alcuni dei quali sconosciuti ai più. La giuria viene nominata collegialmente tra tutti coloro vicini alle due Associazioni legate a Berto: quella del Premio e quella del Festival. Con un privilegio: chi va in finale lo decide la giuria, sì, ma essendo il Premio alternato, cioè un anno si svolge a Mogliano Veneto dove Berto è nato e un anno a Capo Vaticano dove ha vissuto e riposa, il premio gode di questa peculiare alternanza che allontana qualsiasi capannello, lobby o giochi sottostanti. Chi vince, vince perchè il libro è buono.

L’ultima edizione de “La Fantarca” è del 2014. In cosa si differenzia quella nuova che voi presentate?

La Fantarca è sempre La Fantarca. Si parla di riedizione per alcune ragioni. La prima è che viene fatto un editing che ne controlla la qualità dell’edizione precedente. La seconda è che viene commissionata una prefazione -come in questo caso – in cui il testo riacquista la sua dimensione contemporanea: viene riletto alla luce degli anni trascorsi da quando è stato scritto ed è li che si capisce se è un classico o meno. Neri Pozza, l’editore, in questo caso, si è affidato a Diego De Silva, intelligentemente: così come Berto sdrammatizzava per natura anche le situazioni più difficili, a suo modo anche lo scrittore De Silva, un bestesellerista seriale, parla di cose non sempre leggere ma con un piglio che non trasmette al lettore alcuna drammaticità. Una scelta editorialmente brillante che permetterà di inquadrare al meglio questo testo che -pur essendo stato adottato negli anni’ 70 e ’80 nelle scuole italiane – negli ultimi tempi era dimenticato.

Un libro in cui convivono il mito/religione (un’astronave che richiama l’Arca di Noè), l’ironia e la tragedia data dall’obbiettiva visione della catastrofe con cui si immagina il sud. Vorreste promuovere anche una riedizione dell’opera musicale per la televisione, film Rai 1966?

Possiamo promuovere una riedizione libraria ma non possiamo allestire un remake cinematografico. Roman Vlad, che compose le musiche, e Giuseppe Berto che ne fece, dal suo stesso testo, la riduzione cinematografica, non ci sono più. Leggiamo il libro per come è anche alla luce di quanto ci dice Diego De Silva e rivediamo il film omonimo, una distopica pellicola da 58 minuti, più un prologo di Vlad di 7 minuti – in cui spiega le ragioni di questa folle idea – che può, allo stesso tempo, colpire, annoiare, stupire.

Il clima durante una delle serate di proiezione, credit @TommasoPugliese

Avete inserito due concerti. Berto amava la musica? Che rapporto aveva e quai generi preferiva?

Berto amava la musica, certamente. Ma i suoi gusti erano abbastanza secretati. Poi, negli anni ’70, la convivenza con l’esplodere della migliore musica rock, psichedelica, funky, californiana, inglese, non poteva non colpire chi amava sia i giovani che chi si cibava di curiosità e novità, esattamente come lui. Apriamo con Naip, musicista calabrese, il 5 settembre e chiudiamo con gli Isobel Kara, un coppia musicale pugliese, rivelazione di X Factor, l’8. Entrambe scelte cult. Come sempre al festival privilegiamo chi viene a suonare da noi con l’intento di dare, certo, ma anche di prendere.

L’aspetto gastronomico: è soltanto un piacevole intermezzo o parte integrante della filosofia del Family Festival?

Allora, quando chiudiamo il festival, l’ultima serata, e tutta la “famiglia” sale sul palco, l’ultimo nostro ringraziamento è sempre per Philip, Philip Smith (marito di Antonia, n.d.r.) e cuoco americano eccelso (a detta di entrambi, n.d.r.). Lui ama la cucina italiana, abbiamo (dice lei) gestito importanti ristoranti in America e per noi (completa Marco) “Philip è metà del festival”. Forse il concetto di “Family” è lui che ce lo ha sviluppato davanti agli occhi. Cucina a Km 0, tutto viene dal suo orto e, quando mette a tavola alle due di notte quaranta persone che si cibano di paste diverse con cipolle di tropea oppure melanzane che solo lui sa come fa a cucinarle così, beh, solitamente è in quel momento che pensiamo: ” il prossimo anno torneranno tutti”.

Una tavola apparecchiata a Casa Berto, credit @TommasoPugliese

Info. www.capovaticanoville.com, https://www.facebook.com/EstateaCasaBerto

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