“I giovani che entrano al Collegio cercano solo visibilità: io però li educo davvero. E poi mi vengono a cercare”

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Interviste

Pubblicato Settembre 24, 2023

Il prof. Paolo Bosisio nel ruolo di Preside della serie Collegio, credit @Rai
Il prof. Paolo Bosisio nel ruolo di Preside della serie Collegio, credit @Rai

Parla Paolo Bosisio, il Preside della fortunata serie su Rai2 in onda da questa sera per il IX anno: uno spaccato sui giovani oggi e particolari sulle nuove puntate

Il docu-reality “Collegio” in onda su Rai 2 a domenica in prima serata da ormai 9 anni (e che riprende questa sera ambientata nel Collegio San Francesco di Lodi) da 8 ha come inconfutabile Preside il temuto, ma allo stesso tempo palesemente stimato, prof. Paolo Bosisio. Milanese, classe 1949, viene fermato e riconosciuto in giro per la città dai ragazzi per un autografo, e, addirittura, alcuni ex alunni della serie lo seguono la sera a teatro dove sanno (dal suo profilo Facebook) che si recherà. Non è un caso: Bosisio sa parlare ai e con i giovani. Si può dire che sia dovuto a lui il successo della serie.

Probabilmente lo aiuta il fatto di essere nella vita anche regista di opera lirica, di aver diretto vari teatri (come il Teatro del Vittoriale dal 1999 al 2002 e, tra gli altri, il Teatro Giacosa di Ivrea dal 2008 al 2015). In particolare, però, Bosisio sa interfacciarsi con i ragazzi perché è stato direttore della sezione di musica e spettacolo del Dipartimento di Arti all’Università degli Studi di Milano dal 2000 al 2011, presidente del corso di laurea in Scienze dei Beni culturali dal 2005 al 2011 e direttore del corso di dottorato in Scienze dei beni culturali e ambientali dal 2011 al 2014. Senza tralasciare che, mentre cominciava la carriera universitaria, ha fatto anche il preside per 10 anni in un liceo linguistico di Milano.

“Quando arrivo in Collegio il primo giorno di scuola vedo i ragazzi per la prima volta -dice il Preside a Milanoateatro-. Certo, la Rai volendo mi manda le loro bio, ma io non le leggo. Arrivo a scuola conoscendo solo i loro nomi e le facce: i ragazzi sono da osservare. Mi relaziono con loro nel tempo, a seconda di come sono”.

Cosa cercano i giovani che scelgono di entrare al Collegio?

“Solo visibilità”, afferma in modo deciso e assoluto, non c’è spazio per un’alternativa: “Non interessa minimamente il percorso educativo che si svolge nelle ore scolastiche, né il tipo di disciplina che cerchiamo di trasmettere. Del resto tutto ciò non riguarda neanche la Rai”.

Ma come, non è un programma che potrebbe seguire l’originaria vocazione paideutica che dovrebbe avere una rete pubblica?

“Assolutamente no. Alla Rai interessa solo l’audience”.

Eppure il programma la deve pur soddisfare in qualche modo, altrimenti non avrebbe accettato di partecipare anche quest’anno:

“Anzi, questa VIII edizione mi piace ancora di più. Sono cambiati gli autori, di cui a capo ora c’è Magda Geronimo. È molto brava”.

Ma scusi, ma non è un reality? Che ruolo hanno gli autori?

“Importantissimo: creano le occasioni, le cambiano. Il regista in questo tipo di programma è più un tecnico, anche se è cambiato anche lui”.

Il pubblico si accorgerà delle novità?

“Lo ritengo possibile, anche se io stesso non ho ancora visto le puntate montate”.

Il Collegio ambienta sempre la serie in un’epoca passata. Si è partiti dagli anni ’50, quest’anno saremo nel 2001.

E’ un’epoca molto vicina alla nostra, è stato più complicato rappresentare l’idea di mondo basata sulla disciplina e il rigore che con il Collegio vogliamo portare avanti. Ero preoccupato perché pensavo avesse meno senso il tipo di ruolo che spetta a me come Preside”.

Ci sono degli esempi di questa maggiore difficoltà?

“I telefonini: noi professori avevamo diritto a dei modelli relativi a quegli anni, gli alunni non potevano possederne. Da cui relative difficoltà del caso”.

Come si svolgono le vostre giornate al Collegio?

“Io sono lì dalle 8 alle 20, ho uno studio e se succede qualcosa per cui è necessario un mio intervento entro in scena. I prof e gli alunni svolgono veramente lezioni e vita da collegio come la si vede”.

Ma non c’è una drammaturgia, da parte degli autori di cui parlavamo prima appunto?

“Non per i ragazzi: loro reagiscono e si muovono in modo reale, non guidato. Le nostre azioni sono orientate dagli autori”

Quindi, conoscendola, magari Lei avrebbe espulso molti più studenti e prima…

Diciamo che io credo che più che mai oggi i ragazzi abbiano bisogno di regole. Al momento la maggior parte di loro invece vive pensando di poter fare ciò che vuole, ma la realtà è diversa e cerco di trasmetterlo”.

Emerge qui la vera convinzione di un professore, a prescindere da quanto la Rai o gli stessi alunni ci credano:

Sì, io li educo davvero, e alla fine vengono a trovarmi in teatro”.   

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