“Salvare il Mondo con la poesia e il teatro (e con attori più preparati e consapevoli)”

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Fuori sala, Interviste ai direttori, Stagioni

Pubblicato Ottobre 14, 2024

Mino Manni, credit @MinoManni
Mino Manni, credit @MinoManni

Mino Manni dirige un piccolo teatro storico nel piacentino: ha raccontato a Milanoateatro il suo lavoro, o meglio la sua missione: parlare all'anima delle persone

Lo scorso martedì 8 ottobre il Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza) era gremito. C’era anche Milanoateatro, che, con un pullman da Milano, partecipava alla serata di presentazione dell’intera stagione. Un programma fitto: prima la conferenza presieduta da Mino Manni, direttore del teatro. Poi un aperitivo ricco e di ottimi prodotti locali, per concludere con il primo spettacolo in Stagione, Un bel dì vedremo, scritto, diretto e interpretato da Paolo Bosisio (su Milanoateatro ecco l’articolo sulla stagione: Bosisio interpreta Puccini e apre la stagione dello storico Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda, per poi andare in Romania. Il teatro lirico italiano oggi tra provincia e estero – Milano a Teatro).

Paolo Bosisio in una scena di "Un bel dì vedremo", credit @PaoloBosisio
Paolo Bosisio in una scena di “Un bel dì vedremo”, credit @paolo-bosisio

Abbiamo intervistato Mino Manni, nato a Piacenza, casse 1969, che dal 2021 dirige il Teatro Verdi. Diplomato alla Bottega teatrale di Vittorio Gassman nel 1991, si laurea all’Universita’ Statale di Milano nel 1999 in Storia del teatro e dello spettacolo. Durante 30 anni di carriera fino ad oggi lavora con importanti registi di teatro e di cinema tra cui Massimo Castri, Giancarlo Cobelli, Cesare Lievi, Michele Placido, Glauco Mauri, Dario Argento. Con lo spettacolo Cleopatras, di cui cura la regia, vince nel 2017 il premio Franco Enriquez. In collaborazione con Teatri Possibili e successivamente con il CTA-Centro Teatro Attivo di Milano inaugura, dal 2013, una serie di laboratori sui grandi registi del cinema italiano e internazionale (da Stanley Kubrick a Woody Allen da Bernardo Bertolucci a Federico Fellini), girando come saggio finale dei veri e propri cortometraggi con gli allievi dei corsi.

Mino Manni, credit @MinoManni
Mino Manni, credit @MinoManni

Mi dà appuntamento alle 10 di mattina di sabato, piuttosto mattiniero per essere un attore.

Ma perché io non sono solo un attore: sono regista, sono direttore artistico, insegno in carcere, insegno in generale… diciamo che la mia attività spazia in tante branche e ambiti. Non sono un attore classico. Lo sono stato quando ero in tournée, mi svegliavo alle 2 di pomeriggio. Ma poi a mia attività si è espansa, devo vivere 24 ore su 24.

Infatti, pensavo di partire proprio da questo: dalla laurea, al diploma alla Bottega Teatrale Vittorio Gassman, al lavoro con grandi registi, il cinema e la fiction, fino ad essere direttore di un teatro. La sua attività è continua e sfaccettata, di ampio respiro. Chi è un attore oggi? è sempre più indispensabile sapersi approcciare a linguaggi diversi, è invece magari sempre stato così, o vale solo per lei questa multiformità?

Le posso rispondere solo da un punto di vista personale. Secondo me per me vale così perché ho una preparazione non solo concreta sul placo, ma anche teorica che deriva dalla laurea in Storia del Teatro e dello Spettacolo alla Statale di Milano. Tra una tournée e l’altra ho studiato, e ho potuto pagare l’università proprio grazie alle tournée appena finita la scuola alla Bottega di Gassman. Ho iniziato subito grazie a Massimo Castri che è stato il primo regista con cui ho lavorato a La vita è sogno, avevo 21-22 anni. Poi ho incontrato Paola Pitagora, con La signora Morli, una e due di Luigi Pirandello, poi altra grande tournée con la regia di Luca De Fusco, che adesso è direttore dello Stabile di Roma. Con cui poi siamo approdati al Teatro Valle, sempre a Roma: io sono un pezzo di storia del teatro. Il Valle ora è chiuso, ma è stato quello in cui ha debuttato Pirandello nel 1922 con I sei personaggi in cerca d’autore. Quindi posso dire di aver sempre tenuto in piedi le due cose: essere attore, recitare ogni sera, e allo stesso tempo studiare e formarmi dal punto di vista culturale.

Ci sono stati incontri particolari che hanno condizionato la sua formazione?

I miei maestri sono stati il prof. Paolo Bosisio e Vittorio Gassman: il primo per la teoria, il secondo per la scena. Con Bosisio ho portato la tesi Il teatro italiano durante il Fascismo. L’attore, secondo me, deve essere informato: deve sapere cosa va a recitare.

Un’attenzione insolita per questo aspetto della preparazione a una carriera attoriale

Le parole sono importanti. Quando vai sul palco hai delle responsabilità. L’attore deve conoscere il testo che interpreta e avere un suo punto di vista. Io poi amo molto la letteratura: faccio questo mestiere grazie alla poesia, che mi ricorda che abbiamo tutti gli stessi problemi e le stesse domande. Quindi se la poesia ha salvato me, io come tramite potevo salvare altri che avevano gli stessi miei problemi, attraverso la poesia: sono diventato un tramite per raccontare agli altri che c’è una speranza.

Attori-sciamani

Il teatro per me nasce dai grandi autori, non può esimersi da questo: il testo è fondamentale, l’attore lo deve restituire. La gente si commuove, è grata davanti a grandi poeti soprattutto del Novecento: le persone hanno sete di teatro e di anima. E riconoscersi in un grande autore attraverso un attore è una delle più grandi magie del teatro. E’ forse il motivo per cui è nata questa arte: punto e spunto di riflessione su temi di cui non si parla o si para malissimo. Oggi gli argomenti sono buttati alle persone in modo indegno, terribile, come la supermarket. Quando invece il teatro è ciò di più civile ci possa essere. Vivo il teatro come salvezza di anima e cuore, per questo insegno anche in carcere. Di fronte al teatro siamo tutti uguali e possiamo raccontare le nostre storie.

È il primo teatro che dirige? Che progetti ha per dopo?

Sì, è il primo, e dirigere la scorsa stagione al Verdi è stato bellissimo, ho imparato un nuovo mestiere. Avevo tanti agganci e contatti, tanti attori con cui avevo lavorato. Non ho fatto altro che chiamare e mettere insieme quelli che ritenevo più opportuni anche per questa nuova stagione a Firenzuola. Che vale quanto quella del Piccolo e di qualsiasi altro teatro: per me una persona vale mille, e tutti gli spettatori devono poter vedere spettacoli di qualità. Basta “attori” televisivi che vengono chiamati a fare teatro in provincia. Non esiste. Un direttore artistico deve avere la conoscenza e deve aver studiato per capire cosa è teatro e cosa no. E quindi io a Fiorenzuola ho fatto conoscere Ottavia Piccolo, Umberto Orsini, Gabriele Lavia: perché spesso nei teatri dei paesi piccoli questi attori non vanno, semplicemente non sono contattati e ci sono altre dinamiche. Mi ricordo quando Gabriele Lavia ha fatto recitare L’infinito di Giacomo Leopardi al pubblico. O i lunedì, che di solito la gente non esce, ricordo il teatro pieno per vedere Pirandello interpretato da Giuseppe Palmieri.

Come si costruisce una stagione?

Tutte le mie sono sempre state legate da un tema: c’è un lavoro lungo di preparazione, da un anno prima ci lavoro sennò questi artisti sarebbe difficili portarli. Mi hanno chiamato anche al Teatro di Cortemaggiore e sto riuscendo a portare nella prossima stagione Massimo Popolizio che farà Matteotti e Corrado Tedeschi, Artemisia Gentileschi, il mio Pasolini, di cui l’anno prossimo saranno i 50 dalla morte.

Riesce a continuare anche a fare l’attore?

Sì, con Marta Osoli, con cui ho fondato al compagnia Manni Ossoli, faremo uno spettacolo su Eleonora Duse che abbiamo portato due anni fa al Vittoriale. E tra poco esce il film Eterno visionario sulla vita di Pirandello, diretto da Michele Placido, con Fabrizio Bentivoglio e Valeria Bruni Tedeschi.

 L’11 novembre sarà la fine del primo mandato: vorrebbe che si rinnovasse? Perché, cosa le sta lasciando questa esperienza di diverso e in più rispetto al fatto di recitare o dirigere uno spettacolo?

Vorrei sicuramente rinnovare questa esperienza anche per concluderla: ho ancora tante cose da proporre, da dire, da raccontare anche attraverso gli spettacoli che scelgo per la stagione. Ciò che mi spinge a continuare è la gratitudine del pubblico, la gioia: il fatto che la gente vede gli spettacoli ed è felice. Anche se non son facili come lavori: ma quando c’è la qualità, il pubblico le persone apprezzano e vengono. Il pubblico per me è la prima cosa che conta, sia come attore che direttore.

Ed è è diverso tra città e provincia?

Forse per gli spettacoli comici sì, perchè è un genere più legato ai territori. Se, però, il lavoro è di grande livello, è universale: sta all’attore far arrivare lo spettacolo in ogni luogo, per me il pubblico è tutto uguale, dal teatro di Bisceglie alla Fenice di Venezia: è un discorso di anima. Un persona che si commuove per uno spettacolo ne vale un milione. Grande responsabilità per un attore.

Quindi non esiste una chiave per dirigere una sala di provincia o una di centro città.

Non credo ci sia una chiave. O meglio la chiave è l’amore verso il teatro, verso la poesia. Che possa dare una speranza al pubblico che quando esce dalla sala recuperi la voglia di mettersi a leggere, testi che magari non aveva mail letto o riletto. La gente legge sempre di meno. Un conto è leggere da soli un conto è vedere uno spettacolo: il teatro serve a riscoprire la forza degli autori. Questi autori scrivono per la scena: Shakespeare non scriveva per essere pubblicato. Noi abbiamo questi testi grazie alla trasmissione degli attori che si scrivevano i copioni e poi questi copioni sono stati pubblicati.

Il Teatro Verdi di Fiorenziuola la sera della presentazione della Sytagione 2024-25 e dello spettacolo "Un bel dì vedremo" di e con Paolo Bosisio. Credit @MartaCalcagno
Il Teatro Verdi di Fiorenziuola la sera della presentazione della Sytagione 2024-25 e dello spettacolo “Un bel dì vedremo” di e con Paolo Bosisio. Credit @MartaCalcagno

L’egemonia del teatro di regia è finita?

Forse è in un momento di stallo, ma non può finire perchè c’è bisogno dei registi. Devono essere bravi, ovvero che sappiano dirigere gli attori e che li amino. Quando dirigo penso anzitutto agli attori, sono un attore in primis. Penso a tirare fuori il meglio di loro.

I soldi non mancano, mi pare vedendo il numero e il tipo di spettacoli, per la Stagione del Verdi: sono finanziamenti privati. Crede che la situazione economica in provincia sia più vantaggiosa che in città?

No, i soldi mancano invece e noi facciamo miracoli con quello che ci viene dato. Questo grazie alle mie conoscenze e alcuni artisti che vengono magari ribassando il loro cachet per la stima che hanno nei miei confronti. Per i nomi che abbiamo la gente pensa che abbiamo un budget incredibile, ma i nomi che vengono accettano grazie al fatto che ci sono io a dirigere: quando un attore dirige un teatro spesso gli altri attori riconoscono di essere uno di loro. Spesso altri direttori sono politici o non sono proprio del settore. Bisogna vivere la polvere del palcoscenico, io sono a favore dei direttori artistici tearali che abbiano fatto anche il teatro fisicamente. Attori, registi… chi sa cosa vuol dire la messa in scena.

La politica conta nella direzione di una sala?

Devo ringraziare l’amministrazione di Fiorenzuola che è stata la prima a coinvolgermi, e Massimiliano Morganti, Assessore alla Cultura, giunta di centro destra, che mi lascia totale libertà di scelta.

Con quei soldi è libero di fare quello che vuole? Fino a che punto può spingersi nella ricerca?

Ma no, ma che vuol dire teatro di ricerca? C’è teatro bello e teatro brutto. Sicuramente un spettacolo deve nascere da un testo di alto livello, io sono per i classici. Come dice Lavia “se vuoi essere moderno leggi i classici”. Poi lo puoi fare in forma moderna o meno, ma la base deve avere un grande valore letterario.

Verrebbe da pensare che per un attore in carriera andare a dirigere un teatro di provincia potrebbe essere un rallentamento. Perché non è così, perché ha accettato?

Per me non esistono grandi teatri, piccoli teatri, grandi pubblici o meno. Esiste il teatro che è uno e quando è di qualità può essere fatto ovunque e funziona ovunque. Una persona per me vale un milione. Non è un discorso di numeri, ma di qualità. Io sarei felicissimo di dirigere il Piccolo, ma se potessi occuparmene sarei più vicino alla gente: bisogna amare la gente e il pubblico. Senza memoria non c’è futuro: io se fossi al Piccolo continuerei a lavorare su un’idea di teatro strelehriana, di comunità di condivisione, di bellezza, di lavoro approfondito del testo. Sempre testi non dico noti, ma di grande valore. Magari oggi vengono rappresentati testi tratti da romanzi o altri di autori contemporanei, ma devono essere teatro.

E quanto alle tematiche? non servirebbero testi nuovi per parlare dei problemi di oggi?

In teatro bisogna parlare un linguaggio alto. Bisogna approfondire gli autori: Pirandello, Moliere, Omero, Beckett. Spesso è già stato detto da loro. Prendi Sonata Kreutzer sul femminicidio, o L’idiota, entrambi di Fedor Dovstevskij. Credi di scrivere meglio di lui su questo tema? Non mi sento vecchio se esprimo questo concetto: c’è ancora tanto da dire a partire dalle drammaturgie del passato. Coi detenuti faccio il teatro greco, e lo capiscono meglio di molti altri. Oppure stai fuori dai canoni, come Carmelo Bene e Taedeuzs Kantor, che sono usciti proprio da teatro.

Mi parli di questa stagione, dedicata a Federico Fellini: è un regista di Rimini, quindi sempre Emilia Romagna come Fiorenzuola, ma di un’altra arte, il cinema. E allora non è un controsenso rendere lui protagonista del cartellone?

No, perché quando si parla di arte si comprendono tutte. Fellini è un pittore, è uno scrittore, nasce come giornalista. Fellini ama circo, che è una delle arti più belle dal vivo mai state fatte. Fellini è un visionario, e soprattutto, attraverso il suo cinema, ci dice “non fidiamoci mai della realtà: andiamo oltre, andiamo a quello che noi abbiamo dentro e cerchiamo di capire che la realtà può essere migliore grazie alla nostra fantasia. Facciamo lavorare la nostra fantasia e la nostra anima”. Che poi è quello che fa il teatro. Oggi ci fidiamo di tutto quello che ci viene detto pesando che sia la verità. Ma la verità non esiste. E soprattutto con i social tutto è bianco o nero. Invece nn è così. Quando un artista è assoluto raccoglie tutte le altre arti. E poi Fellini sono affezionato. Esula dal cinema, come, ripeto, Tadeusz Kantor e Carmelo bene.

INFO. Teatro Verdi, via Liberazione, Fiorenzuola D’Arda

Tel. 0523-985253. Mail. teatroverdi@comune.fiorenzuola.pc.it

3 commenti

  • Maria Grazia

    Lo spettacolo “Un bel vedremo”, interpretato mi sia piaciuto moltissimo(il grande Bosisio ha fatto centro ovviamente)mi ha impressionato moltissimo la presentazione di Mino Manni attore, laureato proprio con lo stesso Bosisio e direttore artistico del Verdi, con una maestria con cui ha definito il programma ‘24/‘25., aggiungendo molte “superbes” (alla frances).interpretazioni da attore di solidissima qualità

  • Diana Ceni

    Bravo Mino! Ciò che dici è assolutamente giusto, condivisibile e suona come un “Vangelo”! Il modo in cui lo dici, poi, emoziona ed affascina, perché sei un passionale e visionario. Complimenti e grazie per l’impegno e , appunto, la passione che metti in tutto ciò che fai! Diana

  • Francesco rumi

    Mino grande uomo e un gra de attore

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