Bosisio interpreta Puccini e apre la stagione dello storico Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda, per poi andare in Romania. Il teatro lirico italiano oggi tra provincia e estero

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Chiudi gli occhi e voli via

Pubblicato Ottobre 3, 2024

Una scena di "Un bel dì vedremo", credit @PaoloBosisio
Una scena di "Un bel dì vedremo", credit @PaoloBosisio

Nuova produzione che poi inaugurerà la XX edizione del Festival International Leonard: "da quando i direttori dei teatri di opera italiani sono stranieri, il nostro mondo della lirica deve girare il Mondo per trovare collocazioni e scritture"

Quale Puccini verrà raccontato il prossimo 8 ottobre, al Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza)? Siamo in una sala storica, del 1853, costruita secondo un progetto che si potrebbe definire pubblico: il Comune di Fiorenzuola d’Arda decise infatti di adibire il grande edificio, un’antica Abbazia, in via Liberazione, per ospitare servizi destinati ai cittadini: un teatro pubblico, il mercato “dei grani”, le scuole maschili e femminili e una scuola di musica. Ristrutturato nel 1914 e poi nel 1923, fu chiuso dal 1962 per inagibilità fino al 2006. Dopo i lavori riapre nel 2013 e viene anche dotato di un museo dedicato a Giuseppe Verdi.

La stagione 2024/25 comincia, alle 18, con una conferenza per presentarla al pubblico. Dalle 20.30 il primo spettacolo: Un bel dì vedremo, sulla vita e la musica di Giacomo Puccini. Scritto, diretto e interpretato da Paolo Bosisio, milanese, classe 1949 (anche firma di Milanoateatro: Paolo Bosisio – Milano a Teatro, nonchè autore della pagina podcastStory: PodcaSTORY – Milano a Teatro). E’ stato direttore della sezione di musica e spettacolo del Dipartimento di Arti all’Università degli Studi di Milano dal 2000 al 2011, presidente del corso di laurea in Scienze dei Beni culturali dal 2005 al 2011e direttore del corso di dottorato in Scienze dei beni culturali e ambientali dal 2011 al 2014. Senza tralasciare che, mentre cominciava la carriera universitaria, ha fatto il preside per 10 anni in un liceo linguistico di Milano. Da una decina d’anni ha scelto di lasciare l’università, ma non il teatro, dove è rimasto questa volta nel ruolo di regista, in particolare d’opera.

Un bel dì vedremo è un’originale biografia di Giacomo Puccini, interpretato da Bosisio, che racconta la vita in prima persona del compositore lucchese (1858 –1924) trovandosi agli ultimi suoi giorni in ospedale. Era ricoverato in una clinica privata di Bruxelles per un cancro alla laringe. Muore qui a seguito di una emorragia interna dopo un’operazione per curarlo.

Paolo Bosisio in scena nei panni di Giacomo Puccini nello spettacolo Un bel dì vedremo, credit @paolo-bosisio

Di che Puccini si parlerà? Di quello degli inizi al Conservatorio di Milano dove la madre, Albina, riuscì a farlo mantenere negli studi cercando e trovando dei sostenitori nella Regina Margherita e un amico di famiglia? Certo, una borsa di studio sarebbe stata più semplice per il giovane compositore toscano (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924), ma per le magre finanze pubbliche o, c’è chi sostiene, a causa del carattere irriverente del giovane, gli era stata negata. E sarà approfondito il periodo degli studi al Conservatorio, dove Puccini coltivò l’amicizia con Piero Mascagni con cui condivideva la passione per Richard Wagner? E, ancora, sarà raccontato l’amore per la giovane domestica che suicidò per lui, causando una lunga parentesi di chiusura con Elvira Bontura Geminiani, la moglie? Puccini potè sposarla solo 20 dopo l’inizio della loro storia, e cioè quando morì il suo primo marito, Narciso Geminiani, da cui Elvira ebbe due figli: Fosca e Renato. Anche Puccini e Elvira ebbero un figlio, Antonio, nel 1904. O si descriverà anche il Puccini che diventò, grazie al successo delle sue opere, uno degli uomini più ricchi d’Italia e sicuramente uno dei più famosi? Appassionato di auto (la sua targa era la numero 2, dopo quella del Re), di donne, grande cacciatore: Bosisio percorrerà un viaggio nella vita e nella carriera di Puccini, accompagnato da intermezzi musicali di tutte le arie più note e apprezzate del compositore.

Quanto bisogna saperne di Puccini e di lirica per apprezzare appieno questo spettacolo? O, al contrario, è didattico?

È uno spettacolo scorrevole, perché presenta con le parole del compositore alcune fra le più belle pagine di Puccini: non si trovano le difficoltà che possono nascere dalla visione di un’opera intera, con i recitativi e la trama da seguire. Sono solo arie, pezzi di musica meravigliosa introdotti da me e cantati dal vivo. L’intenzione non è di tipo didattico, è uno spettacolo per tutti.

Chi sarà il Puccini che vedremo: quanto è riletto da Bosisio e quanto è invece studiato e biografico?

Molte delle parole che userò sono di Puccini stesso, tratte da lettere, interviste, poesie, scritti suoi. Tranne il finale, in cui mi consento una piccola forzatura per lo spettacolo. Vale a dire: Puccini è in ospedale per subire l’intervento, ne muore pochi giorni dopo. Io invece lo faccio morire in scena, a fine spettacolo.

Magari la Rai le chiederà una fiction su Puccini, dopo aver interpretato il Preside nella serie Collegio nel 2017 e dal 2019?

Chissà?

Da cosa nasce l’esigenza di questa drammaturgia nuova?

È stata una suggestione che mi è stata data. Come regista, ho messo in scena quasi tutte le opere di Puccini, è il mio compositore prediletto, ovviamente insieme a Giuseppe Verdi. Con la differenza che di Puccini mi piace quasi tutto, di Verdi una buona parte, anche perché la sua è una produzione sterminata, mentre Puccini ha scritto una quindicina di opere.

Pensa che ritornerà sul tema con altri compositori?

Forse sì: mi è venuto in mente di scrivere qualcosa su Bizet, e sarà una drammaturgia analoga. Mi pare una formula molto riuscita.

Dopo il debutto a Fiorenzuola andrà poi in Romania con una versione più approfondita. Qui ha già diretto molti spettacoli negli ultimi 10 anni. Perché proprio lì? Che mondo teatrale è rispetto all’Italia, dove la lirica nasce?

Sì, parteciperò al Festival International Leonard, a Galati dal 27 ottobre al 29 novembre: è una rassegna importante e internazionale giunta alla XX edizione. Quest’anno è dedicata a Giacomo Puccini. Io apro il Festival con Un bel dì vedremo: la drammaturgia è la stessa, solo che invece di esserci il pianoforte c’è un’orchestra. Invece di 5 solisti ce ne sono 8, e c’è in più il coro. E poi c’è una struttura scenografica e dei costumi più complessi.

Da oltre 20 anni lavora spesso all’estero, e nello specifico il primo spettacolo in Romania è stato proprio nel 2014: d’allora con questo paese ha un rapporto artistico continuo. Come mai proprio lì, e che mondo teatrale è rispetto all’Italia, dove la lirica eppure nasce?

Nei paesi dell’Est, non solo in Romania, l’opera lirica ha un pubblico molto numeroso e interessato. Naturalmente la maggior parte del repertorio è soprattutto italiano: non che non esista qualche opera nelle lingue nazionali, ma sono minori. Io ho incontrato la Romania un po’ per caso: ho accompagnato mia moglie (Young Ju Kim, soprano lirico n.d.r.) per un concerto al Teatro nazionale di Opera Nae Leonard a Galati, e conosciuto così il direttore Teodor Nita, che mi ha invitato a dirigere Don Pasquale: era il 2014.

Visto l’incontro così dinamico e positivo con la Romania viene da chiederle se sia un caso suo, o più ampio: i nostri cantanti, registi, direttori d’orchestra e musicisti trovano più accoglienza all’estero?

Certo, il mondo della lirica italiano deve girare l’Europa e non solo per trovare collocazioni e scritture. Perché nei teatri importanti come La Scala a Milano o l’Arena a Verona a guidare un teatro è il sovrintendente: negli ultimi decenni si tratta di stranieri, che inevitabilmente invitano artisti stranieri. E così noi italiani giriamo il Mondo dove peraltro siamo chiamati e apprezzati soprattutto perché italiani.

Perché succede questo fenomeno?

È una moda esterofila.

Ha passato una carriera in università come professore, il teatro agito c’era e c’è stato, ma era marginale. Ora i ruoli si sono invertiti: cosa porta in teatro dell’Università e cosa ha portato della tecnica teatrale in aula?

Il teatro si è fuso con la mia vita fin da quando ero bambino, è un tutt’uno con me. È vero che ci sono prevalenze, periodi in cui è prevalso l’insegnamento, altri la regia, altri ancora l’interpretazione. Ma sono tutte facce della stessa medaglia, dello stesso solido, che sono io. Recito con la stessa facilità con cui faccio lezione. E’ il piacere di comunicare con gli altri: lo scambio. Un attore televisivo dà, ma non riceve. Invece quando lavori in teatro o in un’aula, hai uno scambio emotivo. Quindi è un dare e ricevere: la temperatura del pubblico influenza, è uno scambio, non un monologo recitato davanti a uno specchio.

prof. Paolo Bosisio in cattedra, credit @PaoloBosisio
prof. Paolo Bosisio in cattedra, credit @PaoloBosisio
prof. Paolo Bosisio come regista, credit@PaoloBosisio
prof. Paolo Bosisio come regista, credit@PaoloBosisio

Un debutto a Fiorenzuola in un teatro storico: che mondo è quello del teatro di provincia italiano? Milanoateatro ha intervistato recentemente Claudio Longhi, che ha parlato della politica di decentramento che propose Grassi (“Che il Piccolo Teatro vada fuori porta è nel suo DNA” – Milano a Teatro ): “credo che la provincia sia la vera risposta del teatro italiano”. Ma per lei che effetto fa? E preferirebbe un riconoscimento in Italia pari a quello che ha in Romania?

Anzitutto la politica di decentramento di Grassi è stata un’idea molto meritevole che però è fallita, non è servita a nulla. Lui voleva una specie di migrazione di spettacoli del Piccolo in tendoni, sale parrocchiali, allo scopo di raggiungere il grande pubblico popolare. Il teatro sembra non sviluppare più un’attrattiva forte nei confronti dei giovani. Non risolvi prendendo il teatro e portandolo a Quarto Oggiaro. Altra cosa è portare il teatro nei luoghi di disagio (carceri, ospedali): quella non è fallita per niente. Negli ultimi decenni, per iniziativa di comuni, enti locali, province, sono stati recuperati restaurati e riportati in funzione tanti deliziosi teatri storici di cui l‘Italia è ricca, solo che non riescono a essere centri produttivi perché hanno magari solo 100 o 200 posti. Con l’intervento di qualche ente pubblico assolutamente saggio, molti di questi teatri sono stati recuperati. Come il Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda, i Teatri Condominiali marchigiani (di cui Milanoateatro ha parlato qui Milanoateatro in viaggio per le Marche e i suoi Teatri Condominiali – Milano a Teatro), il Vittoriale (di cui dal 1999 al 2002 Bosisio è direttore artistico n.d.r), il Teatro Giacosa di Ivrea (che Bosisio ha diretto dal 2008 al 2015 n.d.r). Questo però è un fenomeno molto diverso da quello a cui faceva riferimento Longhi: qui non si decentra. Sono piccoli luoghi di spettacolo che vengono rimessi in vita e aiutati a vivere.

Com’è la Milano teatrale di oggi? si può dire che il teatro sia a Milano? E pari l’insegnamento teatrale, che ha iniziato lei: perché non lo si sa e non lo si ripete ogni secondo? Il suo manuale, che andava conosciuto pagina per pagina, è spesso ancora oggi una fonte di consultazione per certe notizie di storia del teatro da confermare o approfondire.

Della Milano teatrale di oggi fatico a parlare perché vivendo all’estero non ho più quella consuetudine assoluta: per 30 anni andavo a teatro tutte le sere, adesso sto in Italia per 2-3 mesi all’anno e spesso quando i teatri sono chiusi. Seguo di più l’opera perché quando vengo a Milano mi precipito alla Scala. Detto ciò, venendo alla seconda parte della domanda che è quella in cui mi sento chiamato in causa di più, devo dire che per un mio errore di valutazione ho cresciuto un mio allievo cui ho dato per tanti anni la massima fiducia e a cui ho fatto fare carriera. Quando ho lasciato l’università lui automaticamente ha preso il mio posto. Questo signore, che si chiama Alberto Bentoglio, ai miei occhi si è rivelato una grandissima delusione. Nel senso che non solo non è riuscito a sviluppare, mandare avanti, a modificare quello che io ho fatto per 30 anni. Ma è riuscito a demolire metodicamente tutto ciò che avevo costruito. Due o tre esempi: ha rinunciato al dottorato di ricerca, cancellato la laurea specialistica in scienze dello spettacolo, eliminato figure che avevo inserito come professori a contratto (registi, critici, uomini di teatro). Però c’è una contropartita, e dobbiamo dirla: una mia allieva, Valentina Garvaglia, in un’altra università, lo Iulm, oggi ne è Rettore. Primo docente di teatro a diventare Rettore.

INFO. Via Liberazione, Fiorenzuola d’Arda. Tel. 0523 985253, teatroverdi@comune.fiorenzuola.pc.it

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