L’Odin Teatret di Eugenio Barba arriva al Menotti. Sei giorni per i 60 anni della Compagnia

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Recensioni

Pubblicato Marzo 15, 2024

"Ave Maria", Frauentheaterfestival, credit @KatharinaDubnoScaled

Dalla Norvegia è in residenza a Milano il gruppo di teatro sperimentale nato a Oslo in un rifugio antiaereo nel 1964. Spettacoli, incontri, film e masterclass per approfondire il linguaggio del grande artista fondatore

“Togliere al corpo l’ovvietà quotidiana”, trovare un “faticoso equilibrio di lusso”: questo fa l’attore di teatro secondo Eugenio Barba, 1936, Gallipoli. “Nell’età della memoria elettronica, del film, della riproducibilità, lo spettacolo teatrale si rivolge alla memoria viva, che non è museo, ma metamorfosi. Questa relazione lo definisce”. Perché “fare teatro vuol dire praticare un’attività in cerca di senso”. E “sono gli uomini e le donne che lo fanno”: non i luoghi. Pochi estratti da La canoa di carta (Il Mulino, 1993, Bologna, 264 pp), il libro che definisce l’idea del teatro per Eugenio Barba, una vita di viaggi e esperienze dirette: da mozzo addetto alle macchine su un cargo e una petroliera norvegesi con scali in Africa, Asia, America Latina, e America del Nord. All’Università di Oslo, in cui si laurea in Letteratura Francese, Norvegese e Storia delle Religioni. Norvegia, Polonia, India, passando per sei mesi vissuti in un kibbutz in Israele. E poi gli studi in Polonia a Opole con Jerzy Grotowski, fino al 1964, quando fonda l’Odin Teatret a Oslo, in Norvegia, per spostarsi due anni dopo a Hostelbro in Danimarca: qui tutt’ora ha sede e lavora l’Odin, con un Eugenio Barba che nel frattempo di anni ne ha 88, ma ne dimostra 60.

Eugenio Barba, Ista-Favignana, ottobre 2021, credit @FrancescoGalli
Eugenio Barba, Ista-Favignana, ottobre 2021, credit @FrancescoGalli

Quanti ne ha il suo Odin Teatret: lo abbiamo incontrato al Menotti, dove dal 12 al 17 marzo si celebra l’importante compleanno della nascita del suo teatro. Eppure lui, intervistato da Milanoateatro sulle influenze nella sua arte di Kantor e Grotowskij, Stanislavskij e Mejerchol’d, Craig, creatori di quelli che Barba chiama il teatro di transizione, che si ispira anche al concetto dell’ikebana giapponese, “far rivivere i fiori recisi”, ovvero stilizzare il corpo per aggiungere bellezza e senso, dice “Io sono un epigono”. Ovvero “sono un umile discendente”. Tutto da verificare.

"La casa del sordo-Capriccio su Goya", credit @FrancescoGalli
The Deaf Man’s House – Odin Teatret

La residenza milanese della straordinaria Compagnia di Holstebro, guidata dal visionario maestro Eugenio Barba, per sei giorni permetterà al pubblico di partecipare a workshop, masterclass, lezioni, film e spettacoli teatrali dal mattino alla sera in esperienze irripetibili, per vedere direttamente e vivere la sperimentazione che l’Odin porta avanti. Tutti gli incontri sono strutturati in modo interattivo, permettendo ai partecipanti di immergersi nell’universo teatrale di Barba attraverso discussioni, dimostrazioni pratiche e sessioni di domande e risposte, un approccio partecipativo necessario a favorire un coinvolgimento diretto con gli artisti.

La seconda sera del programma, mercoledì 13 marzo, dopo a Masterclass del mattino con Tage Larsen, attore e regista dell’Odin, alle 20 è andato in scena Ave Maria- La Morte si sente da sola. Cerimonia per l’attrice Maria Canepa, in scena Julia Valery, moglie e compagna di vita anche nel lavoro di Eugenio Barba, che firma la regia. Uno spettacolo in cui la Valery celebra l’amicizia con Maria Canepa, l’attrice italo-cilena (nasce nel 1921 nel Nord Italia) morta nel 2006 a Santiago affetta da Alzheimer. A fine spettacolo la Valery non esce a raccogliere gli applausi: troppo duro il lavoro. La stanchezza è eccessiva. Anche questo è l’Odin: “Il mio viso non si vede mai durante lo spettacolo Ave Maria. In buona parte sono nascosta sotto la maschera di Mr Peanut, un teschio, e durante il resto sono coperta da un velo e un grande cappello nero. Rappresento la Morte- specifica l’attrice-. Non si deve vedere la mia pelle viva, mi spiega il regista. Gli spettatori non incontrano mai il mio sguardo e mi capita spesso di chiudere gli occhi, concentrandomi nello sforzo di orientarmi senza vedere. È uno spettacolo che mi sfinisce, eppure è animato da una necessità vitale”. L’intero spettacolo è come un cerimoniale: Mr. Peanut compie vari movimenti attorno a un manichino che evoca Maria Canepa: stende alcuni panni, tira fuori una sorta di bambino morto da una bara-culla, si trasforma lei stessa in donna per poi tornare teschio. Una serie di simbologie che vogliono mantenere viva la memoria della Canepa, in uno spettacolo “che vuole essere una cerimonia per restituire  l’emotività della sua vita professionale e al tempo stesso il mistero della morte”.

Una rassegna che porta Barba stesso a guardare indietro e a interrogare i suoi 65 anni nel teatro, “cinque di preparazione e apprendistato a Oslo, Varsavia, Opole e Cheruthuruthy, e sessanta a Holstebro, una cittadina di provincia danese, con un nucleo di attori di varie nazionalità che si ostinano a unire i loro destini al mio in nome di una cultura di teatro di gruppo”.  Oggi distingue chiaramente la domanda che in particolare lo ha guidato come “forza e guida al timone dell’Odin Teatret”: riuscire ad essere parte della tradizione dell’impossibile dei riformatori del teatro del Novecento. Diversi tra di loro, ma “con l’idea costante di un teatro che infonda altri valori che trascendono la dimensione ricreativa ed estetica”, dice ancora il regista.

Ecco che in questa rassegna è possibile approfondire da vicino la specificità, la profondità e la ritualità intrinseca di questo teatro: dopo la presentazione e poi proiezione, martedì 12 marzo, della pellicola Un film di Elsa Kvamme, che è stata anche attrice dell’Odin dal ’73 al ’75, e racconta tutta la nascita dell’Odin Teatret, mercoledì mattina si è tenuta una masterclass con Tage Larsen, attore e regista dell’Odin. Mercoledì sera Ave Maria, per riprendere giovedì, ore 17, con Testo, azione, relazioni dimostrazione di lavoro/spettacolo con Tage Larsen e Julia Varley: usando una scena dall’Otello di Shakespeare, i due attori costruiscono un dialogo fra Otello e Iago di fronte al pubblico presentando un processo basato sulla creazione ed elaborazione di azioni fisiche e vocali. La capacità di creare partiture fisiche e vocali è il risultato degli anni di training e spettacoli con l’Odin Teatret, che lavora molto anche sulla voce come corpo, parte e protagonista, in scena. Alle 20 è stato presentato il film Il paese dove gli alberi volano di Davide Barletti e Jacopo Quadri, che racconta i preparativi per i festeggiamenti a Holstebro per i 50 anni di attività dell’Odin. Per l’occasione Eugenio Barba ha fatto arrivare da Kenia, Brasile, India, Bali ed Europa diverse compagnie teatrali formate in maggior parte da giovani, e ha voluto far interagire culture espressive e teatrali estremamente distanti ma di fatto unite dal bisogno di comunicare. “C’è una scena che dà il senso della cura, dell’attenzione e della sensibilità di Barba e di chi collabora con lui. È quella della organizzazione della disposizione ai tavoli per i pasti: l’obiettivo è quello di ‘far stare bene’ le persone, di consentire loro di interagire senza che nessuno rimanga o si senta escluso. È quello che accade nel lavoro delle varie compagnie che vengono portate nelle scuole della cittadina perché incontrino i giovani danesi e le loro forme di espressione artistica” dice Giancarlo Zapparoli.

Venerdì 15 alle 17 è presentato il film La conquista della differenza di Exe Christoffersen, testo e narrazione Eugenio Barba, produzione Odin Teatret Film, Holstebro, 2013. Anche questo film ripercorre la storia dell’Odin Teatret dal 1964 ad oggi, attraverso immagini che ritraggono differenti spettacoli, situazioni di training nel corso degli anni. Eugenio Barba riflette inoltre su cosa il teatro abbia significato per lui e sulla storia dell’Odin Teatret come gruppo di persone che hanno conquistato la propria differenza. Alle 20 va in scena La casa del sordo-Capriccio su Goya, produzione Masakini Theatre, Nordisk Teaterlaboratorium / Odin Teatret per la regia Eugenio Barba. Completamente diverso da Ave Maria, questo spettacolo ha un tono più da farsa e ironia: siamo a Bordeaux, nella casa di un sordo, Francisco Goya. È l’ultima notte della sua vita. La sua amante per più di trent’anni, la vivace Leocadia Zorilla, scatena la sua fantasia e i suoi ricordi. Si tratta della trasposizione teatrale del genere artistico del capriccio applicata all’opera e alla biografia dell’artista: la sua vita si svolse tra gli sconvolgimenti politici dell’Europa alla fine del 18° secolo, tra Età della Ragione e Romanticismo, Inquisizione e Rivoluzione Francese, erotismo, esilio e mutilazione fisica dovuta alla sordità totale che colpì l’artista a 46 anni. Elementi che tutti insieme concorrono a creare uno spettacolo di continui e sorprendenti cambiamenti nella scena e nel ritmo, giocando tra la sorpresa e la fantasia (come nei quadri di Goya, riresi anche in scena). Sabato alle 18 si potrà incontrare Eugenio Barba, e alle 20 andrà in scena ancora La casa del sordo. Domenica, alle 11, viene presentato il film Zona Limite di Stefano di Buduo interpretato da Eugenio Barba, su la Festuge che ha realizzato a Holstebro: uno spettacolare progetto teatrale che vede cento cavalli provenienti da tutta Europa percorrere insieme la zona di confine della costa danese, irrompere in città entrando persino nei locali della biblioteca. Alle 16.30 “La casa del sordo”.

INFO. TEATRO MENOTTI, Via Ciro Menotti 11, Milano – tel. 0282873611 –  biglietteria@teatromenotti.org.

ORARI SPETTACOLI: Dal martedì al sabato ore 20, Domenica ore 16.30. Lunedì riposo

BIGLIETTI: Intero – 32.00 € + 2.00 € prevendita, ridotto over 65/under 14 – 16.00 € + 1.50 € prevendita

ORARI BIGLIETTERIA: Dal lunedì al sabato dalle ore 14.00 alle ore 18.30, dalle 19.00 alle 20.00 solo nei giorni di spettacolo. Domenica ore 14.30 | 16.00 solo nei giorni di spettacolo. Con carta di credito su www.teatromenotti.org

Consigli per prima o dopo lo spettacolo

  • Giolina

    In un ambiente chic senza essere radical, sportivo e elegante nello stesso tempo, una schiera di ragazzi e ragazze servono ai tavoli quelle che chiamare solo “pizza” forse è troppo poco. Da Giolina, in zona Porta Venezia, il segreto probabilmente è la lievitazione della pasta, 48 ore: potete stare certi che non vi rimarrà sullo stomaco. Aperta dal gruppo Arbellini-Brisbane-Saturnino, gli stessi di Panini Durini, Marghe, Pizzium, fino a Locanda Carmelina, Giolina oltre al tempo di riposo della pasta mette al centro di ogni ricetta la qualità degli ingredienti. Credete di poter parlare di acciughe? Certo che no, sono Alici di Cetara. O di mozzarella? Non sia mai, qui si usa il Fior di latte d’Agerola. Ingredienti raffinati, per nomi di pizze nuovi anche se spesso ricalcano quelle più tradizionali. Ad esempio la Margherita qui si chiama Ghitina (8 euro) ed è preparata con pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP, fior di latte d’Agerola, Parmigiano Reggiano DOP 30 mesi, olio extravergine di oliva biologico e basilico fresco. Da consigliare, per chi non ama la mozzarella sulla pizza c’è la Luisina, ovvero la Napoli rivisitata, 11.00 euro: Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino Dop, pomodorini del piennolo del Vesuvio Rossi Dop, alici di Cetara, capperi disidratati, polvere di olive caiazzane, origano di montagna, basilico fritto, olio evo aromatizzato all’aglio. Di fatto come ricette da assaggiare non esistono grandi alternative alla pizza, e non ne sono previste senza glutine per i celiaci. Certo, potreste assaggiare un antipasto: bruschette, friarielli, mozzarella di bufala e taglieri, con prezzi che vanno dai 3.50 agli 11 euro, anche se glutine o lattosio sono, anche qui, praticamente inevitabili. Da bere esiste una buona selezione di etichette e l’ottima birra Ichnusa, filtrata o meno. Da Giolina è presente anche una zona pre-ristorante (anche se non è molto frequentata): una sorta di bancone dove si può prendere un aperitivo. L’accessibilità è trattata come un argomento noto: per facilitare le carrozzine esiste una pedana spostabile da appoggiare sul gradino all’ingresso, unico presente. Il bagno è a norma ed è provvisto anche di un fasciatoio. Lo spazio tra i tavoli in sala consente tranquillamente il movimento di una carrozzina e i cibi si possono adeguare a esigenze particolari di masticamento. Non c’è un parcheggio disabili di Giolina, ma posto in zona dovrebbe trovarsi nelle vicinanze (c’è un mix di parcheggio residenti e a pagamento. C’è anche un parcheggio coperto a pochi metri dal ristorante). Vi arrivano vari tram (9, 19, 23, non sempre, ma anche agibili), l’autobus 54 e 61 (agibili). La metro più vicina è la Rossa, fermate di Palestro o Porta Venezia.

    Indirizzo: via Bellotti 6

    Telefono: 0276006379

    Website: https://giolina.it/

  • Bar Teatro Menotti

    Dopo che Filippo Perego ha acquistato il Teatro Menotti scampandolo dal diventare il parcheggio  degli eleganti appartamenti che sono appena nati con la riqualificazione di tutto lo stabile in cui c’è anche questa Sala, al piano terra è stato ricavato un bar. L’estetica è semplice: solo tavolini e un bancone infondo. Se la gestione fosse ancora quella del genitore e figlio che fino a poco fa con gentilezza e eleganza portavano, per 7 euro, al tavolo un buon calice di Falanghina a giusta temperatura, accompagnato da patatine, pizzette e focaccine ottime e salumi (e senza la smania di avere subito il pagamento), l’aperitivo sarebbe stato ancora consigliato. Ora la gestione è passata a Gattò, il ristorante di cucina napoletana e francese (loro stessi si definiscono così) in via Castel Morrone. Il problema è che, non essendoci una sala in più e neanche un vero piano di lavoro, il ristorante arriva in teatro con piatti già preparati precedentemente e freddi. Ad esempio per uno spiedino di tre mozzarelline (micro) e un crodino, chiedono 13 euro. Andando in cassa autonomamente a ordinare, pagare e riportandosi da sè le scelte al tavolo. Un altro trattamento, di minore qualità e a prezzo quasi raddoppiato.

    Indirizzo: via Ciro Menotti 11

  • BBQ

    Da sempre a conduzione famigliare (lui milanese lei di origini argentine), questo ristorante insieme rustico e raffinato punta tutto sulla carne: filetto, tagliata, fiorentina, chateaubriand, tartar per citare i piatti imperdibili, sia per il sapore che per l’ottima qualità. Tra ottimi vini, si trova anche la cerveza Quilmes o la Buenos Aires, mentre, tra le pregiate carni perlopiù italiane, non manca l’entrecote di manzo argentino “Rioplatense”. In menù da assaggiare anche il Salame di Varzi (12 euro), o le tagliate (22 euro, 48 quella “All’antica”, per due persone), come i filetti (27 euro).

    Indirizzo: via Pasquale Sottocorno 5, Milano

    Telefono: 0276003571

    Website: https://ristorantebbqmilano.it/il-menu/

  • Ristorante Batong

    Una sala abbastanza piccola a pochi minuti dal Teatro Elfo Puccini. Si trova in Galleria Buenos Aires 14, ma da un lato si affaccia su strada con ampie vetrate. Un gruppo di giovani camerieri, ragazze e ragazzi, simpatici. Tanti clienti cinesi, segno che la cucina è autenticamente asiatica. Infatti il Ristorante Batong è un unicum tra i locali che propongono piatti orientali a Milano: il menù qui è di piatti provenienti dallo Yunnan, regione nell’estremo sud ovest della Cina. Confina con Vietnam, Laos, Birmania e Tibet: ecco perchè si possono gustare qui ricette innovative oltre ai classici involtini primavera o ravioli al vapore (pur presenti). Imperdibili ad esempio gli spaghetti di riso in brodo piccante con carne di maiale macinata (10 euro). Molti sono i piatti con carne, meno di pesce e c’è anche una scelta di ricette vegetariane.

    Chiuso al mercoledì

    Indirizzo: Galleria Buenos Aires 14

    Telefono: 022043712

    Email: ristorante.batong@gmail.com

  • S’incantu

    Che il ristorante sia ora in mano a una vera professionista si intuisce già dall’accoglienza: arriviamo in seconda serata, dopo teatro (dal Menotti sono circa 7 minuti a piedi), e Veronica è seduta con altre giovani donne fuori sui tavolini esterni. Non c’è problema, la cucina del S’incantu è ancora aperta, possiamo accomodarci. Ci accompagna tra i tavoli, con tovaglia bianca, poltroncine arancioni e parquet scuro. Colpiscono i piatti, tutti decorati con fantasie colorate in sintonia con il resto dell’ambiente. “Mettetevi tranquilli, rilassatevi, ora è un momento per voi”. E così, dopo poco, ci porta il menù e cominciamo la nostra piccola avventura nelle terre e l’ottima cucina della Sardegna. Veronica, infatti, è di Muravera (Cagliari). Famiglia di ristoratori, a Milano hanno gestito già molti ristoranti (il Sapori di Mare, il Quarta Carbonaia e altri). Certo, la nostalgia della propria isola rimane, ma la serietà tipica di questo popolo ha il sopravvento. E se si sceglie di seguire un progetto, si fa bene. Ecco che infatti ci vengono serviti dopo un tempo di attesa breve un piatto di ottima fregola sarda e uno di spaghetti con la bottarga. Il Vermentino di Sardegna è d’obbligo, il tutto per il prezzo di 50 euro in due (25 a testa). Da tornare.

     

    Tel. 02-83558231, info@sincantumilano.it

    Chiuso solo il lunedì (aperto pranzo e cena dal martedì alla domenica)

    Indirizzo: via Gustavo Modena 28

    Telefono: 0283558231

    Email: info@sincantumilano.it

    Website: https://www.instagram.com/sincantu.milano.ristorante/

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