A trent’anni dalla strage mafiosa di via Palestro il Pac riflette sul rapporto tra arte e memoria

Di Marta Calcagno Baldini

Categoria Oltre il sipario

Pubblicato Luglio 21, 2023

"Così lontano così vicino", performance inaugurale il 10 luglio di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrinio, credit @MartaCalcagno
"Così lontano così vicino", performance inaugurale il 10 luglio di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrinio, credit @MartaCalcagno

Attraverso video, fotografie, installazioni, performance e una piccola mostra “flashback” con i materiali dell’Archivio del PAC si analizza come la pratica e la ricerca artistica contemporanee abbiano trattato la memoria.

Performing Pac è il format ideato dal Padiglione d’Arte Contemporanea in via Palestro a Milano: a inizio estate si riflette sulla storia, l’attualità, in rapporto all’arte contemporanea e al materiali d’archivio dello stesso Pac. Le mostre del Padiglione tornano a parlare in modo nuovo e ancora più attuale. Cosa è accaduto? Come gli artisti hanno interpretato il Mondo? Dopo aver approfondito, l’anno scorso, la land art a partire da Richard Long e la mostra a lui dedicata nel 2004, o il rapporto tra arti performative e musica nel 2020, nel 2023 non poteva esserci che un tema da proporre agli artisti coinvolti: la strage mafiosa di Via Palestro, che avvenne la notte del 27 luglio 1993. Ecco quindi che, a trent’anni dall’attentato che distrusse il Padiglione milanese, l’edizione di PERFORMING PAC Estate 2023 è dedicata al rapporto tra arte contemporanea e memoria storica: l’idea è di raccontare – attraverso video, fotografie, installazioni, performance e una piccola mostra “flashback” con i materiali dell’Archivio del PAC – come la pratica e la ricerca artistica contemporanee abbiano trattato la memoria.

Sottotitolo di Performing Pac 2023 è Dance Me To The End Of Love, citazione da una canzone di Leonard Cohen del 1984 nonchè brano ispirato al dramma della Shoah. In un’intervista Cohen spiegava: “La canzone è nata sentendo i racconti dei sopravvissuti dai campi della morte. Accanto ai forni crematori, in alcuni lager, un quartetto d’archi era costretto a suonare mentre si consumava questo orrore. Un orrore che sarebbe diventato il destino anche degli stessi musicisti. Suonavano quando i loro compagni morivano”. Ma nei versi della canzone il dramma sembra scomparire nella missione salvifica e pacifica dell’arte come veicolo di memoria, capace di essere più forte di ogni crudeltà, che è anche il senso di questa mostra stessa.

Si apre con il video di Yael Bartana, artista israeliana che riflette sull’inconscio collettivo, le relazioni di potere e le politiche della memoria: una specie di profeta androgino, vestito di bianco, cammina con un cammello lungo le rotaie. Malka Germania (in tedesco “Regina Germania”) è il titolo dell’opera: i riferimenti alla deportazione ebraica sono chiari, come anche il non preciso riconoscimento dell’identità del nuovo messia che ripercorre e tracce del passato lascia un forte amaro in bocca. Chi è che si sta prendendo l’incarico di rielaborare una memoria e che cammina lungo le rotaie dove passavano i vagoni diretti ai campi di concentramento? Non si capisce, è senza identità. Ecco infatti che il lavoro dell’artista riflette sulle pericolose rimozioni dell’inconscio collettivo.

Una sala intera del Pac è dedicata al film K364 dell’artista scozzese Douglas Gordon, del 2011, che riflette sul potere della musica durante il viaggio compiuto da Avri Levitan e Roi Shiloach – due violinisti di origine ebrea polacca – per ritornare alle terre da cui i loro genitori dovettero scappare nel 1939 in fuga dal nazismo. Un “viaggio a ritroso” verso la Polonia, per eseguire nella sala da concerti di Varsavia la Sinfonia Concertante in Mi bemolle maggiore (conosciuta anche come K364) di Mozart con l’Orchestra da Camera Amadeus della Radio Polacca. C’è anche Christian Boltanski presente in memoria della sua mostra “Ultime notizie”, curata da Jean-Hubert Martin al PAC nel 2005, incentrata sul concetto di “tempo” che inesorabilmente fluisce, mentre il ricordo diventa traccia del fragile e instabile passaggio dell’uomo. L’esposizione di allora è ricostruita attraverso documenti, fotografie e con la riproposizione dell’opera Entre-Temps (Nel frattempo), video-installazione che presenta in sequenza le immagini fotografiche del volto dell’artista nelle diverse tappe della sua vita, tra desideri di eternità e inesorabile oblio.

"Ultime notizie",
Christian Boltanski, credit @MartaCalcagno
“Untitled”, Maurizio Cattelan, credit @MartaCalcagno

Lungo tutta la parete del Pac che si affaccia sui Giardini della Villa i può vedere ciò che resta della performance inaugurale il 10 luglio di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini: hanno preso spunto da uno scambio epistolare avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale tra la nonna e il nonno della Mocellin. Lui deportato in Germania, lei a casa con i figli. Durante la performance i due artisti hanno letto le lettere senza potersi vedere l’un l’altro, mentre in sottofondo reperti sonori dell’epoca – discorsi di Mussolini, Turati, PioX, Hitler, canti dei campi di concentramento, canzoni fasciste – hanno accompagnato l’evento e tutt’ora si sentono.

Al piano di sopra ecco l’installazione “Green, Green Grass of Home”, del 2002, della bosniaca Maja Bajevic: cammina su un prato ricostruendo virtualmente il perimetro della casa dei nonni, dove lei stessa aveva vissuto: la casa non c’è più, distrutta nei conflitti che continuavano ad attanagliare l’ex-Jugoslavia. In mostra anche due opere di Maurizio Cattelan – realizzate nel 1994 a distanza di un anno dall’attentato di via Palestro – che utilizzano oggetti quotidiani, parte dell’immaginario collettivo, come veicoli per la costruzione della memoria. La prima, “Untitled”, è un bouquet di fazzoletti annodati con una calza di nylon femminile, che metaforicamente intendono raccogliere e asciugare le lacrime non solo dei familiari delle vittime, ma della città stessa di Milano. La seconda, “Souvenir di Milano”, è a tutti gli effetti un ready made: la macchinetta fotografica, tipico souvenir degli anni Ottanta e Novanta, da cui i bambini potevano ammirare le cartoline delle città più famose viene decontestualizzata e il suo contenuto modificato con le immagini del PAC distrutto. Accompagna la collettiva anche la “Project Room Like Rain Falling from the Sky” di Nicola Bertasi, sempre al primo piano, curata da Damarice AMAO, una narrazione fotografica sensibile, poetica e personale della guerra in Vietnam.

Raccolta articoli sull'attacco terroristico al Pac. Credit @MartaCalcagno
Raccolta articoli sull’attacco terroristico al Pac. Credit @MartaCalcagno

Via Palestro 14 – Milano
INFORMAZIONI
T 0288446359
pacmilano.it
Orari:
Luglio: da martedì a domenica ore 10-19:30, giovedì ore 10-22:30
Agosto/Settembre: da martedì a domenica ore 12-19:30, giovedì ore 12-22:30
Lunedì chiuso
Ultimo ingresso 1 ora prima della chiusura
Aperto martedì 15 agosto (Ferragosto) 12-19:30
Biglietto unico € 5
Dal 25 al 30 luglio ingresso gratuito in occasione della commemorazione
dell’attentato di via Palestro

2 commenti

  • Gustavo

    Questa mostra vuole mettere in evidenza tutti gli aspetti del male e della ferocia di cui sono capaci gli uomini dall’odio razziale, alla guerra, alla vile criminalità della mafia

  • Silvestro

    La strage di Palestro è stata per me un segnale d’allarme in quegli anni di Milanodabere. Io quella sera ero al Cinema Cavour in piazza Cavour e quando sono uscito sembrava di essere finito sul set di Blade Runner.

I commenti sono chiusi.

Altri articoli relazionati