Chiude il Teatro Nuovo: ricordi, esperienze e storie di una sala che, senza sovvenzioni, ha creato una fonte democratica di cultura per tutti
Di Paolo BosisioCategoria Interventi d'autore
Pubblicato Ottobre 18, 2022
Pubblichiamo l'articolo del prof. Paolo Bosisio sulla recente chiusura del Teatro Nuovo: il melanconico addio alle oltre mille poltrone del Teatro in piazza San Babila, con tutto ciò che ha rappresentato per la storia dello spettacolo -privato- di Milano
Avevo nove anni appena compiuti e già da tre frequentavo la Scala con la nonna materna che aveva un palchetto in primo ordine, numero 3 a destra. Da lì si vedevano benissimo il direttore d’orchestra e gran parte dei professori, ma del palcoscenico solo una metà, salvo storcersi il collo sporgendosi e dando noia agli occupanti del palchetto successivo. “Non importa” diceva la nonna, aggiungendo al nipote futuro regista d’opera “quel che conta è la musica e non lo spettacolo che si vede sul palco”! All’epoca non aveva proprio tutti i torti perché i tempi della regia vera, di Visconti e Strehler, stavano solo iniziando e gli spettacoli erano solo eleganti ripetizioni di cose già viste.
Dicevo che a nove anni mia madre mi propose di accompagnarla al teatro drammatico, e più precisamente al Teatro Nuovo, nella piazza San Babila che distava solo poche centinaia di metri dalla casa dove abitavamo, accanto al Conservatorio. Risposi gioiosamente di sì senza sapere cosa mi attendesse. Ma la serata era destinata a essere speciale, non tanto per il testo rappresentato (un poliziesco di cui non ricordo il titolo), quanto perché in scena c’erano due grandi attori del tempo, Nino Besozzi e Bianca Toccafondi. Sorpresa a sorpresa, finito lo spettacolo che mi piacque moltissimo, mia madre mi accompagnò nei camerini a salutare Besozzi che lei conosceva personalmente. Cosa fosse un “camerino” non mi era noto all’epoca, ma il percorso per raggiungerlo mi permise di gettare per la prima volta un’occhiata al palcoscenico in una prospettiva opposta a quella che mi si era palesata dalla sala. Un macchinista apriva il sipario, essendo usciti tutti gli spettatori, e il boccascena visto dall’interno mi sembrava una bocca spalancata sulla grande sala di cui si intravedevano alcune decine di poltrone che si perdevano nel buio. Qualche faro di servizio, riempiva di ombre e luci il palcoscenico sul piano del quale notai qualche striscia di nastro colorato (indicazioni per gli attori?), qualche chiodo mal piantato, qualche cavo che assomigliava a un rettile nero per quanto grosso e lungo era. E poi in fondo, quasi al bordo della platea, una specie di conchiglietta di tela arancio rovesciata dietro alla quale si vedeva un buco aperto nel palco stesso. Mia madre mi spiegò che si trattava della “buca del suggeritore”, ossia dell’angusto spazio in cui stava rannicchiata una persona che, copione alla mano, doveva suggerire agli attori le battute che avessero dimenticato.
Arrivati in una stanzetta alle spalle del palcoscenico, vidi un signore grasso con i capelli bianchi che si stava struccando proprio come faceva mia nonna ogni sera. Ma lui era un uomo, e così scoprii che in teatro anche gli uomini si truccano…
Non fu quella l’unica scoperta e posso ben dire che il teatro Nuovo tenne a battesimo quello che sarei diventato in seguito, ossia un uomo di teatro, o meglio una cosa sola con il teatro, per tutta la mia vita ormai lunga. E mi fa sorridere il ricordo del successivo e unico incontro che ebbi una ventina scarsa di anni dopo con Besozzi: lavoravo in televisione come aiuto regista e lo trovai sul set di un Carosello (ancora una volta con intreccio poliziesco). Gli rammemorai il nostro incontro che lui ebbe la generosità di fingere chiaro nella sua memoria. Che onore spiegare al grande e anziano Besozzi le poche battute che doveva pronunciare e poi dare gli ordini: “motore” “azione”.
Il teatro Nuovo era a quell’epoca uno dei teatri privati che agivano a Milano, in alternativa al Piccolo Teatro di Strehler e Grassi: con una differenza sostanziale. I teatri privati vivevano dei solo introiti del botteghino e il Piccolo godeva (meritatamente) di una sovvenzione (in seguito cresciuta enormemente in numero e quantità). Vogliamo nominarne qualcuno? Odeon, Olimpia, Sant’Erasmo, Convegno, Palazzo Durini, dell’Arte per poi arrivare a tutti quelli (moltissimi) della generazione successiva. Tutti chiusi, tutti morti, una sorta di cimitero della cultura e dell’arte, sulle cui croci stanno scritti i nomi coraggiosi di imprenditori che nel teatro credevano (non solo) per fare qualche soldo (non molti in verità), ma perché pensavano che lo spettacolo dal vivo costituisse una fonte democratica di arricchimento culturale per tutti (anche per coloro, ed erano molti, che non sapevano leggere).
Il Nuovo, aperto nel 1938, ospitò fra le prime la compagnia dei fratelli De Filippo che lavorava ancora all’antica italiana, ossia portando in giro spettacoli che debuttavano uno dopo l’altro, servendosi di povere scenografie disponibili nella sala ospite e di costumi di proprietà degli attori. Niente regista, niente scenografo, niente costumista. Un mondo giunto al tramonto verso il quale lo avrebbero sospinto rapidamente i neonati registi e i non meno recenti teatri pubblici. I De Filippo rappresentarono al Nuovo in quaranta giorni ventitré diversi testi, senza farsi mancare qualche doppia (ossia recita diurna e serale).
A gestire il teatro era Remigio Paone, che ebbi l’onore di incontrare di persona quando all’età di sedici anni andavo bussando alle porte dei teatri professionistici chiedendo di ospitare la mia compagnia di giovani dilettanti. Che faccia tosta! Paone, garbatamente, mi spedì al mittente (ma io ottenni udienza dal neonato Teatro san Babila, distante poche centinaia di metri, il cui direttore Berrini ci ospitò più volte fino a che non mi fece incontrare Fantasio Piccoli di cui divenni assistente entrando nel professionismo a diciotto anni).
Senza voler minimamente sminuire i meriti culturali, artistici e sociali della straordinaria impresa di Strehler e Grassi, che diedero vita al Piccolo in una sala tristemente famosa come luogo di tortura in epoca fascista, mi piace ricordare come Paone, senza alcun sostegno da parte delle autorità, le sfidasse durante la guerra mettendo in scena un’Opera da tre soldi di Brecht (ben precedente a quella giustamente destinata a gran fama diretta da Strehler), Zizì e compagni dell’ebreo Szilagyi, Piccola Città di Thornton Wilder (credo per la regia di Piccoli): Paone fu arrestato e fuggì poi a Roma dove rimase in clandestinità fino al 1945.
Il dopoguerra e il clima di ricostruzione, intenso e gioioso specie nel nord e a Milano, fu testimone della nascita del Piccolo Teatro, sotto gli auspici del lungimirante sindaco socialista Greppi, e anche della fervida attività di molti teatri privati dal Sant’Erasmo di Maner Lualdi, al Convegno di Guerrieri nel palazzo degli Omenoni.
Restando al Nuovo, sul suo palcoscenico si esibirono Rina Morelli e Paolo Stoppa, diretti dal grandissimo Luchino Visconti che, con la sua compagnia privata (e priva perciò di sovvenzioni) non aveva accesso e ospitalità al Piccolo. Amici, Luchino e Strehler, diceva quest’ultimo, ma soprattutto concorrenti di gran rango nell’agone del nascente teatro di regia.
Un teatro privato che si rispetti vuole la qualità del prodotto artistico, ma non può trascurare il botteghino. E vorrei ripetere quello che è stato uno fra i miei mantra di docente: privato non significa commerciale, o quanto meno non in senso deteriore.
Ogni anno al Nuovo erano ospiti artisti sommi come Totò e Wanda Osiris, Dapporto, Calindri e la Magnani. E ancora l’indimenticabile Paola Borboni, prima a esibire caste nudità sul palcoscenico recitando nel pirandelliano Diana e la Tuda. E ancora al Nuovo si esibirono Tognazzi, Rascel, Sordi, Chiari, Gassman e mille altri.
Ho un ricordo speciale che voglio condividere: Maria Stuarda di Schiller, magistralmente interpretata da Lilla Brignone e Anna Proclemer, dove a uscire vincitrice (sotto il profilo artistico e di presenza scenica) era la piccola e magrissima Brignone, immensa in quel ruolo.
Un ricordo ancora legato al Nuovo, fra i mille che mi tornano alla mente: ero da pochi mesi divenuto titolare dell’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo nell’Università Statale, dove fino a quel momento la disciplina non era stata attiva. Mi telefonarono dal Nuovo dicendomi che Carmelo Bene, in quel momento in scena con un suo spettacolo, voleva (il verbo desiderare non attagliandosi al carattere del grande mattatore pugliese) che io condividessi con lui un seminario della durata di alcuni giorni di fronte al pubblico del teatro. Accettai, e ancora oggi mi domando cosa mi spinse a farlo. Furono giornate impervie in cui mi arrampicai per ore sugli specchi cercando di stare dietro (certo non di tener testa) al grande Carmelo… Ne uscii vivo e rinfrancato nella mia nascente autostima di docente, ma dimagrito di qualche chilo.
Mille altre cose avrei da raccontare del Nuovo, fra cui mi si consenta ancora, il debutto del primo musical italiano, con Lorella Cuccarini strepitosa interprete di Grease, regia di Saverio Marconi, destinato a essere il padre di un nuovo genere nostrano di spettacolo dal vivo.
Capirete quindi la mia malinconia nell’apprendere che al posto della storica sala dotata di oltre mille poltrone rosa cipria aprirà le sue fauci maleodoranti l’ennesimo superfluo ristorante in cui si potrà pagare a peso d’oro una “fiorentina” di importazione.