Milanoateatro in viaggio per le Marche e i suoi Teatri Condominiali
Di Marta Calcagno BaldiniCategoria Fuori sala
Pubblicato Giugno 4, 2024
Si festeggia un altro anno di spettacoli teatrali visti insieme con una gita da Pesaro, a Urbino, fino a Fano, passando per Sassocorvaro, Pergola e San Lorenzo in Campo. Tra sale storiche che rappresentano una ricchezza unica del territorio
Più che una serata Holè da Torero, è stato un intero weekend lungo all’insegna della passione per il teatro, ma anche per la buona cucina, l’arte, senza trascurare la meraviglia dei paesaggi e la brezza del mare. Sì, perché Milanoateatro è andata, dallo scorso giovedì 23 fino a domenica 26 maggio, a percorrere un itinerario per visitare i Teatri Condominiali marchigiani, una realtà storica che in questa regione ha avuto uno sviluppo particolarmente ricco e che resta una tradizione viva e amata ancor oggi dai cittadini dei vari borghi.
Si tratta perlopiù di piccole sale a ferro di cavallo, massimo neanche 500 posti tra platea, balconate e loggione, nate nel 1500 e legate alle corti. Restaurate o ricostruite ex-novo dalle famiglie più abbienti nel 1800, si chiamano “condominiali” perché il pagamento e il mantenimento di queste proprietà era comunitaro. Erano cum-domini, domini condivisi. Questa gestione garantiva l’attività del teatro, che poi era aperto a tutto il paese (non solo ai borghesi anzitutto, e nobili: i primi pagavano, gli altri restavano il nome e si rendevano garanti). Considerato che il teatro era anche un modo per ostentare la potenza delle famiglie, fu posta particolare attenzione alle decorazioni e agli ornamenti, motivo per il quale ancora oggi sono anche chiamati i cento teatri gioiello delle Marche. Amati anzitutto dai locali, che li frequentano tutto l’anno sia per la stagione che usandoli come luoghi di ritrovo per riunioni di vario genere. In ciascuno infatti saremo accompagnati da guide del posto, a volte anche semplici cittadini di ogni età, esperti conoscitori del proprio gioiello.
Dopo un impeccabile viaggio in Prima Classe da Milano a Pesaro (abbiamo approfittato di un’ottima offerta per gruppi di Trenitalia), subito in Stazione era pronto ad aspettarci Antonio Zampolini, autista del pullman che ci ha accompagnato lungo tutto il viaggio, tappa per tappa. Eccezion fatta per il tragitto in treno di andata e ritorno, il gruppo di Milanoateatro è stato seguito nell’organizzazione del tour da Movimondo, agenzia che è stata di grande aiuto. A sua volta l’itinerario ripercorreva le tappe che Marta Calcagno Baldini, fondatrice e direttrice di Milanoateatro (Marta Calcagno Baldini – Milano a Teatro), aveva percorso per un servizio pubblicato sul numero di maggio di Touring, la rivista del Touring Club Italiano (Maggio 2024 | Touring Club Italiano).
Dalla stazione in un comodo viaggio in autobus eccoci all’Hotel Nautilus, sulla riva di Pesaro: si tratta di un family hotel a 4 stelle, che con la sua organizzazione e pulizia garantiva le esigenze che cercava il gruppo, ovvero comodità e confort per affrontare al meglio le tre notti e quattro giornate di visite che ci aspettavano. Non si tratta di un boutique hotel, niente di particolarmente ricercato o fantasioso, esclusivo. Ma non era ciò di cui avevamo bisogno: volevamo essere certi della professionalità del servizio ad un prezzo ragionevole. Certo, per chi riusciva ad essere particolarmente mattiniero era possibile anche percorrere una salutare passeggiata sulla lunga spiaggia su cui si affaccia Pesaro. L’Hotel infatti, dotato di piscina, ristorante e camere con tv, era proprio sulla costa, su cui anche molte stanze si affacciavano.
All’arrivo in Hotel, prima di pranzo, ognuno ha preso la sua stanza, chi dormiva in doppia e chi in singola. Le visite sarebbero partite già alle 15, quindi giusto il tempo di disfare i bagagli, ambientarsi e mangiare qualcosa sulla spiaggia. Valentina, la nostra prima guida, ci raggiunge in Hotel e si parte alla scoperta di Pesaro, Capitale della Cultura 2024 (Pesaro 2024 – Capitale italiana della cultura): tra piste ciclabili, sculture di Arnaldo Pomodoro vista mare e alberghi storici, arriviamo in centro a piedi.
Di grande interesse la Casa Natale di Gioacchino Rossini (Casa Rossini – Pesaro Musei), davanti alla quale nell’anno speciale di Pesaro Capitale italiana della cultura, il Rossini Opera Festival (Rossini Opera Festival) propone Playlist Rossini. Un concerto lungo un anno, un nuovo progetto che ripercorre ogni sabato alle 18 l’intero repertorio operistico rossiniano: dal 24 febbraio al 16 novembre, ovvero dalla settimana del compleanno di Rossini a quella del 156esimo anniversario della sua scomparsa, si tiene una serie speciale di 39 Concerti dal Balcone della Casa natale di Gioachino Rossini interpretati dagli ex allievi dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”, ciascuno dedicato ad un’opera di Rossini. I ragazzi intonano le sue più celebri arie (andremo ad ascoltarle il giorno successivo al nostro arrivo, sabato 25 maggio).
Poi una visita dettagliata al Teatro Rossini, risalente al 1700 e tutt’ora conservato prestando attenzione ai materiali usati per il restauro: sono gli stessi dell’epoca.
Dopo una cena rilassante, tutti in camera. L’indomani alle 9 si riparte. Antonio è puntuale, pronto ad accoglierci nel suo autobus: qualche lamentela sommessa e desiderio di partire un po’ più tardi, ma la strada non sarà breve, siamo diretti a San Lorenzo in Campo verso il Teatro Tiberini, dal nome non del capo mastro che lo realizzò, Luigi Tiberini, ma del celebre tenore Mario Tiberini, nato proprio a San Lorenzo nel 1826 e che raggiunse i maggiori teatri di Roma, Napoli, fino Alla Scala di Milano.
Siamo nel 1816, anno in cui il teatro fu ultimato dopo tre anni di lavori all’interno del Palazzo della Rovere, poi Pretorio e ora Comunale: in origine fu chiamato Teatro del Trionfo, come quello di Cartoceto, e solo nel 1880 prese il nome de suo compaesano tenore. In anni più recenti divenne un cinema, fino al 1956. Dopo un lungo restauro venne riaperto nel 1983 e d’allora è attivo, molto amato dalla comunità: 25 i palchi, su due ordini, che si affacciano sulla piccola platea da 220 posti originariamente, ora 150 per ragioni di sicurezza. Decorazioni floreali, amorini e maschere di gusto tardo ottocentesco decorano i palchi e il soffitto dove trionfa, nel mezzo, la musa Tersicore (protettrice della danza) o Euterpe (della musica e lirica). Al suo fianco Arlecchino e la testa del dio Bacco.
Il signor Lorenzo Bonafede ci guida alla visita del Teatro, dove troviamo un’ospitalità unica: oltre al Teatro siamo accompagnati in un piano superiore da due volontari Pro Loco, lo stesso Lorenzo Bonafede con il signor Marcello Morrieri: è raggiungibile con una scala a chiocciola, e siamo introdotti in una speciale installazione. Si tratta della Stanza dei Francobolli: fu realizzata 90 anni fa grazie ad Agostino Ghilardi, che li collezionò tra la fine del 1899 e l’inizio del ‘900: sono 90mila, tutti con il timbro postale. Aveva tappezzato 4 pareti ed il soffitto di una stanza, per circa 45 metri quadrati lavorando tra il 1932 e il 1934: oggi si può vedere l’intera collezione riallestita esattamente come l’originale grazie al lavoro di Bonafede e Morrieri con altri volontari Proloco. Hanno riattaccato tutti i 90mila francobolli nella loro posizione originale. Che non è casuale: nella forma che viene data incollandoli, sono rappresentati: l’Italia e gli stati confinanti, la lupa capitolina, lo stemma di allora del Comune e lo stemma sabaudo.
Accanto a questa stanza unica si trova il piccolo Museo Etnografico Africano – Collezione Dr. Gello Giorgi. A fine visita ci viene mostrato anche il piccolo bar, ancora in funzione, e possiamo acquistare Il Don Domè, Antico Liquore Laurentino, che risale ai primi anni del Novecento. Ricetta ideata da Don Domenico nei primi anni del Novecento, parroco di San Lorenzo in Campo (da bere a fine pasto, ghiacciato). Anche da questi piccoli dettagli si assapora quanto le sale dei Teatri Condominiali marchigiani siano amati e sentiti dal territorio.
Usciti dalla Rocca eccoci in pullman: non ci facciamo mancare a San Lorenzo in Campo una visita anche all’Abbazia benedettina, dell’VIII-IX secolo. Oltre ad essere una meravigliosa costruzione romanico-gotica in mattoni, che si articola su tre navate terminanti ciascuna con un’abside e la navata centrale è definita da cinque archi a tutto sesto poggianti su colonne, l’Abbazia conserva le reliquie di San Demetrio, militare romano martirizzato a Tessalonica (Salonicco) ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano contro i cristiani (IV secolo). L’urna di legno contenente le ossa di San Demetrio Megalomartire venne alla luce nel 1520 durante dei lavori di restauro della Chiesa: tra la fine degli anni ’70 e il 1980 San Lorenzo in Campo restituì le reliquie a Salonicco, fatta eccezione per 8 ossa ancora visibili nella cripta dell’Abbazia.
Ci spostiamo nella vicina Pergola, o meglio: appena fuori. Siamo diretti all’ottimo ristorante Agriturismo XIX secolo, per un pranzo dai sapori campagnoli (abbiamo assaporato maltagliati con ceci pomodorini e salsiccia, patate all’arrosto e per concludere dolci secchi).
Nel primo pomeriggio ci attende Ubaldo nel Teatro Angel Dal Foco di Pergola: una sala preziosa, che ci viene spiegata nei suoi dettagli negli affreschi, i decori, i plachi. Perché Pegola era una ricca cittadina fondata nel 1234 e che ha avuto, grazie a Papa Benedetto XIV, il titolo di città nel 1752 per la proficua presenza sia di famiglie nobili che di artigiani. Da quel momento si rendono necessarie costruzioni degne, quindi ecco la costruzione del Teatro della Luna, che fu affidata all’ architetto Raimondo Compagnini, bolognese (1714-1783). Il luogo dove sorge il teatro erano in origine i Magazzini dell’Abbondanza, dove veniva conservato il grano dal momento del raccolto: dal 1866 la sala fu dedicata al capitano di ventura Angel dal Foco, che figura anche tra i personaggi storici della tragedia Il Conte di Carmagnola del Manzoni.
Come sempre avviene nei teatri che stiamo visitando, noi sediamo in platea e la guida ci spiega. In questo Ubaldo ci dice anche che Pergola fu la prima città marchigiana a insorgere contro lo Stato Pontificio. Per questo fu insignita di medaglia d’oro: a ricordare il valore della città il Teatro è stato chiamato come un suo eroico difensore. Già dal 1700 era tutto in cemento e pietra per scongiurare incendi. Il palco è molto profondo e un po’ in discesa: è più lungo della platea stessa. L’indoratura delle varie parti è da far risalire al 1781 da parte di Ubaldo Nicola Alegi, doratore, che usò 1600 libretti doro: peccato che tutte queste foglie di metallo prezioso sono andate perse, insieme ai ricchi scenari del 1600, quando la sala è stata occupata dagli sfollati e soprattutto dagli sciacalli alla fine della Seconda Guerra Mondiale, che si appropriarono anche dell’impianto elettrico. Fu rubato anche un sipario realizzato da Beniamino Barbanti. Nonostante la sua importanza per tutto l’800, quindi, nel 1900 il teatro venne trascurato: addirittura, negli anni ’60, il soffitto ha iniziato a non riparare bene dall’acqua, fino a crollare in parte. Ecco che il teatro venne chiuso: nel 1981 si avvia un progetto di restauro. In questo Teatro Condominiale la stagione andava da febbraio a settembre: da Carnevale ai mesi estivi. Nel 1846 arriva una compagnia ospite, e tra gli attori c’è una certa Laura Bon, amante di Vittorio Emanuele II, che nel 1849 diventerà re di Sardegna e nel 1861 Re d’Italia. Laura Bon giunge a Pergola in avanzato stato di gravidanza, e partorisce una bambina, Elisa, per metà principessa. Fu affidata a un medico della zona. Dal 1758 al 1960 il Teatro ha lavorato con momenti di interruzione per terremoti, finchè i pergolesi hanno fatto un voto: rinunciamo al teatro per scongiurare il pericolo di altri terremoti. Quindi è stato chiuso dal 1780 per 3 anni, finchè la comunità non ha resistito e il Teatro è stato riaperto. L’ultimo restauro è del 2013, e ora è totalmente a norma: c’è una stagione invernale, e lo si usa per tutte le occasioni. Dalle feste, ai ragazzi del liceo che ci fanno attività teatrali, fino alle feste di Pergola (Tartufo, Cioccovisciola e altre).
A Pergola non si può perdere la Chiesa di Santa Maria di Piazza, del 1010, prima della nascita della città, e la Chiesa dei Re Magi, meravigliosamente conservata e ricca di significati simbolici (consigliamo una visita guidata). Altra ricchezza della città che ci lascia incantati è Museo dei Bronzi: datati tra il 50 e il 30 a.C, ritrovati nel 1946 a Cartoceto di Pergola. Erano divisi in più di 300 frammenti, che sono stati riuniti in più di 20 anni di restauro, unico gruppo statuario di epoca romana oltre al Marco Aurelio a Roma e i Cavalli di San Marco a Venezia (i bronzi di Riace non sono romani). Questo gruppo era sotto terra e si è salvato: sono stati rinvenuti da due contadini che stavano realizzando un fosso per l’acqua piovana. Non erano quindi molto profondi. Forse si sono salvati perchè sono sati trafugati da un municipio romano che probabilmente si trovava nelle immediate vicinanze: i ladri però scappando si sono accorti che sarebbero stati troppo pesanti per portarli fino alla propria meta, così li hanno nascosti pensando di recuperarli in un secondo momento. Anche se, dove li hanno ritrovati, non risultano testimonianze di proprietà romane e non passava una strada. Oppure sono stati distrutti per Damnatio Memoria, ma è difficile perché sarebbero stati meglio nascosti. Quel che è certo, vedendo le statue, è che i due cavalieri vengono celebrati per meriti militari, le donne per ricchezza. Ecco infatti che sono sicuramente esponenti di classe dirigente romana, patrizi e senatori (lo capiamo dalle calzature). I pezzi ritrovati sono stati uniti mostrando le mancanze, secondo l’attuale modalità di restauro: è la celebrazione di un’intera famiglia, che forse, ulteriore ipotesi, si trovava a un tempio, poi, rubate le statue, sono state fatte a pezzi. Un video esplicativo multimediale animato che include anche i reperti spiega perfettamente la loro storia.
Ancora si riparte per Mondavio e la sua Rocca, ultimo gioiello di questa giornata: è qui splendidamente conservato, e ancora una volta, vissuto, il Teatro Apollo. Per entrambi la nostra guida sarà Sylvie Campolucci, che ci accompagna nella visita. La Rocca quattrocentesca sorge nel pieno centro della cittadina, ed è inglobata nel paese perché nasce per ospitare soldati mercenari e per proteggere i cittadini dalle incursioni esterne.
La Fortezza, eretta su disegno di Francesco Di Giorgio Martini, si innalza su 5 piani e su tutti arriva l’acqua grazie a un pozzo a cui si può attingere da ciascun livello. Dopo la metà del 1600 fu un carcere, maschile e femminile (qua e là per terra e sui muri si trovano le antiche scritte dei prigionieri incise sulla pietra). Difficile capire come era divisa, è museo dal 1960: si trovano qui infatti stanze di rievocazione storica e una vera e propria armeria in cui sono esposti elmi originari: l’addestramento da cavaliere iniziava a 9 anni. Si trovano in mostra lance, alabarde e balestre d’epoca, e si organizzano appuntamenti per rievocare i modi in cui si usavano queste armi. Il 13-15 agosto, ad esempio, si celebra la tradizione della Caccia al Cinghiale, cui segue il Banchetto a spina di pesce in costume: si mangia necessariamente con le mani, come allora. Nella Rocca si trova anche il Teatro Apollo, gioiello secentesco: “Il teatro qui ha subito assunto un alto valore sociale e culturale -spiega Sylvie-. Tanto che qui si stabilì un’Accademia dal nome ‘Il Condominio del Teatro’, costituita da cittadini e consiglieri comunali. Ogni anno si eleggeva un Principe del Teatro e ogni palchetto veniva affidato a una famiglia nobile di Mondavio. C’era uno statuto da rispettare -continua-, sulle commedie e quant’altro, e il teatro serviva a ‘mantenere la buona armonia all’interno dell’intera comunità’ ”. A metà del 1700 si decide di ampliarlo perché a Moldavio arrivano ospiti tante compagnie, se ne contavano in 2 mesi da 29 a 30. A metà dell’800 è stato tutto ridecorato, e nei medaglioni d’oro si trovano decorazioni di Apollo, che dà il nome al teatro. Ospiterebbe 120 posti, ma oggi a norma se ne possono occupare 60. In primi anni di 1900 è stato anche cinema. Sotto il pavimento c’è un meccanismo ancora funzionante che lo alza all’altezza del palco in modo da ricavare una grande sala da ballo. A metà di 1800 c’era anche un bar. Il Teatro gode di un’ottima acustica. E’ stato chiuso per più di 30 anni: ha riaperto il 10.1.2010 tutto restaurato, ora ha il suo cartellone e viene usato anche come sala riunioni e luogo di ritrovo per la città.
Ampiamente meritata la buona cena a Pesaro in Hotel, e pronti per dormire. Il mattino dopo ci aspettano nuove avventre.
Eccoci infatti pronti a partire per Sassocorvaro, il teatro che ha forse colpito di più tutto il gruppo per la grande spiegazione della guida, Silvano Tiberi. Colto, preparato, entusiasta della Rocca, la conosce in ogni dettaglio. Anzi, ha ricavato anche una zona con vari documenti che sono sempre consultabili sotto richiesta: “Li chiamavano Duo mundi lumina, le due luci del Mondo”. Esordisce così Tiberi, e si riferisce a Federico da Montefeltro (Gubbio, 1422) e Ottaviano degli Ubaldini (1424), il Duca e il Conte, due fratelli fondatori della Rocca di Sassocorvaro: “nella Lunetta che si trova al Palazzo Ducale di Urbino si guardano negli occhi, sono alla stessa altezza, sono alla pari. Eppure -continua Silvano- la loro storia è stata completamente diversa. Federico ha avuto la gloria, non fosse altro che per il suo profilo che insieme a quello di Dante è tra i più famosi della Storia d’Italia. Ottaviano è stato completamente dimenticato. Eppure era lui il padrone di casa”.
E continua, in modo animato e coinvolgente: “nella lunetta Ottaviano è ritratto con due libri dietro, sulle spalle, uno aperto e uno chiuso: era la mente, Federico il braccio”. Il racconto si fa via via più intrigante: “Il libro aperto è la conoscenza per tutti, exoterica, quello chiuso è per chi ha visto, chi è in grado di capire, esoterica” quindi, magica extra- visibile. “All’inizio del 1500 arriva la controriforma, l’Inquisizione, cambia il Mondo, e questi valori diventano dei disvalori”. Prima, però, c’è la realizzazione della Rocca da parte dei due fratelli, e ne contiene le idee e il carattere di entrambi. Ecco infatti che è una fortezza inespugnabile, ma all’interno è costruita, dall’architetto senese Francesco Giorgio Martini secondo le indicazioni dei fratelli, come un palazzo, una corte. Ed è forma di tartaruga, per la saggezza della lentezza, la moderazione, e la solidità del guscio: “La lancia di Federico poggiava sul guscio di Ottaviano”, spiega ancora Tiberi. Braccio e mente, qui, coesistono e si supportano. La fortezza fu realizzata per difendere Urbino: l’architetto Martini riceve l’incarico dal Duca di Urbino di fortificare il ducato. Costruisce 136 edifici: “le Marche sono un tesoro già solo x questo -spiega sempre la guida-. Guido Piovene quando negli anni ‘50 ha fatto le sue guide sulle regioni italiane nel frontespizio delle Marche riportava: ‘l’Italia è il giardino d’Europa, le Marche sono il giardino d’Italia’”. Da notare che l’architetto Martini ha costruito soprattutto fortezze, e viveva in un periodo cosiddetto “di transizione”: “dall’uso dell’arma bianca in combattimento, all’arma da fuoco -continua la guida-. Ecco che progetta una fortezza curva, che resiste molto di più a un colpo di cannone. Questa è la prima opera al Mondo per difendersi contro gli effetti della nuova arma -sottolinea ancora Tiberi-. Ed è la sua prima: ha fatto degli errori in questa Rocca, che non ha più ripetuto”. A testimonianza della sua già forte inespugnabilità, però, c’è la leggendaria cannonata della seconda guerra Mondiale che non sarebbe entrata nella Rocca, ma rimbalzata colpendo l’edificio di fronte.
“La bontà delle fortezze sta nell’artificio della pianta anziché nella grossezza dei muri”, scriveva l‘architetto. La forma è sostanza: concetto che ha portato Di Giorgio ad essere amato e copiato anche da architetti contemporanei. “Per unire il sapere e il potere ci vuole l’alchimia: smussare gli angoli: l’aquila e la tartaruga -spiega Tiberi-. Ma l’aquila si poggia sul guscio della tartaruga, erano complementari, erano consapevoli del bisogno l’un dell’altro: infatti anche la rocca è a forma di tartaruga, ma era impenetrabile. La tartaruga scelta da Ottaviano come simbolo della potenza e lentezza: festine lente. Fuori è impenetrabile ma dentro è una corte un luogo di dialogo. Un’opera esemplare, eppure Di Giorgio non l’ha firmata: “ha fatto degli errori qui dovuti ad inesperienza -sottolinea ancora a nostra guida-, che non ha più ripetuto”. Una fortezza che è anche un trattato di esoterica: “ci ho messo oltre 30 anni a fare la ricerca nella Rocca dei significati alchemici di Ottaviano e ho messo insieme tutte le tessere”. All’interno della fortezza si trova infatti una mostra di tutti i documenti esoterici del Conte rinvenuti nella rocca: tutto il materiale presente si è salvato dalla Seconda Guerra Mondiale, insieme ad altre opere d’arte delle Marche che erano state portate al sicuro qui, perché ancora negli anni ’40 i tedeschi lo avrebbero portato in Vaticano: “è una balla che qui i cimeli furono depositati da Pasquale Rotondi per salvarli dalla razzia tedesca -si infiamma Tiberi-: lui questa operazione l’ha fatta già nel ‘40 quando eravamo ancora amici dei tedeschi. Addirittura poi i tedeschi avevano depositato con la scorta i beni in Vaticano quando hanno visto che la situazione peggiorava”.
Il Teatro nella Rocca nasce dopo l’Unità d’Italia, quando tutta la Fortezza diventa comunale e viene usata come sede del municipio, ma anche come scuola e come luogo di pubblico diletto: è allora che il salone si trasforma in teatrino 100 posti. E’ appena stato restaurato (2022-23): presenta le decorazioni del pittore Enrico Mancini, di Sassocorvaro, che attorno al 1895 dipinse l’intera volta e le pareti che sovrastano la balconata. Mancini proveniva da un’umile famiglia di artigiani, ma grazie ad un sussidio comunale riuscì a studiare all’Istituto di belle arti di Urbino: in segno di riconoscenza alla comunità di Sassocorvaro decorò l’intero teatrino. Ha creato soggetti liberamente tratti dal repertorio tardo-neoclassico, rielaborati dall’artista in chiave quasi liberty, con la nota dominante del blu acceso del grande scomparto centrale popolato da alati putti svolazzanti. Il Teatro è stato intitolato a Carlo Goldoni, di cui c’è il ritratto sul boccascena. Sul sipario dipinto si mostra una veduta di Sassocorvaro di fine Ottocento.
Incantati dalla visita e dai racconti di Silvano ci dirigiamo verso l’autobus, dove Antonio come sempre ci attende. Ci accompagnerà questa volta a Urbino, dove però non si fermerà a pranzo con noi al Ristorante Vecchia Urbino, nel centro storico. Il parcheggio, lì, sarebbe per lui impossibile. Non si perde alcunchè, di fatto: servizio frettoloso e poco accurato, per una cucina buona (Tagliolini guanciale e pecorino, insalata mista e caffè), ma non certo superiore agli altri provati finora.
A Urbino ritroviamo i fratelli Federico e Ottaviano di cui ci aveva appena parlato Silvano Tiberi, nonché la città natale di Raffaello, e il Teatro Sanzio, in corso Garibaldi 82. La nostra guida, Gabriele Gelardi, ci accompagna con discrezione e cultura nelle varie parti della città, partendo dal Teatro Sanzio appunto, eretto tra il 1846 e il 1853 su progetto dell’architetto Vincenzo Ghinelli. Per realizzarlo fu scelta l’area sovrastante il torrione quattrocentesco in cui è racchiusa la rampa elicoidale di Francesco di Giorgio Martini, modificando sensibilmente con la sua mole la veduta del Palazzo Ducale. Il Teatro all’esterno ha conservato il su aspetto originario, mentre all’interno nel 1982 è stata effettuata una generale ristrutturazione dall’architetto Giancarlo De Carlo, dopo circa un trentennio di inattività (il Teatro era stato anche utilizzato come abitazioni). Vincenzo Ghinelli, architetto innamorato dei paesaggi marchigiani, aprì una finestra, che ancora è presente ed è la particolarità di questa sala, sul palcoscenico per ammirare la vista fuori. Nell’atrio sono collocati i busti di Raffaello (opera di Carlo Finelli del 1853) e di Donato Bramante (Giambattista Pericoli, 1854). La sala ha conservato i tre ordini di palchi distrbuiti a ferro di cavallo attorno alla platea. Ospita un totale di 460 spettatori. La volta a decorazione pittorica è perfettamente conservata ed è ad opera, nel 1850, di Raffaele Antonioli, rappresenta le Muse, Apollo e i musicisti Rossini e Bellini. Le decorazioni originarie dei parapetti sono andate perdute, rimangono i 19 tondi con le effigi di personaggi illustri, tra cui Raffaello.
Una volta a Pesaro ne approfittiamo i Duomo che ha riaperto proprio oggi, e per andare ad ascoltare le arie di Rossini che i giovani cantanti lirici intonano dalle finestre della casa del compositore ogni sabato sera alle 18. Cena in albergo, e domani mattina pronti per l’ultimo giorno.
Alle 9 ci aspetta sempre il nostro pullman per Fano, affascinante ed elegante cittadina ricca di chiese e conventi: “nel 1600 c’erano qui circa 6mila abitanti, almeno il 10% apparteneva al clero” ci dice Andrea Belacchi, esaustiva, precisa e agile guida che ci accompagna per una esauriente camminata mattutina alla scoperta delle meraviglie della città. Nel 1800 alcuni conventi furono espropriati con l’Unità d’Italia, e divennero luoghi civili, anche se ancora i luoghi ecclesiastici sono in maggiornaza assoluta. Arriviamo nel Teatro Della Fortuna di Fano, un bel monumento nella piazza centrale del paese: risale al 1600, ma viene ricostruito (in 15 anni) nel 1800. “A Fano il teatro è molto amato -conferma anche qui la guida-. E’ vissuto come luogo di incontro e socialità, è appena stato reso alla città dopo un restauro durato 25 anni”.
Dopo una interessante e solare passeggiata per la città concludiamo la nostra visita, e il nostro viaggio, al Pesce Azzurro di Fano: un ottimo ristorante self-service suggeritoci da Antonio. Si può assaggiare solo pesce pescato giornaliero, con ricette dal sapore italiano e di vera qualità. Una meraviglioso finale per il nostro spettacolare viaggio nei Teatri marchigiani.
2 commenti
Flavia
E’ stato in viaggio davvero particolare ed insolito, a volte emozionante vedere i teatrini ricchi di storia e ancora ben utilizzati. Grazie Marta x averci fatto scoprire queste meraviglie! Sei stata proprio brava!
Francesco
Ogni lasciato è perso….. peccato non esserci stato, ma la dettagliata recensione ha lenito lo sconforto
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